Dopo il cessate il fuoco bilaterale, firmato il 23 giugno all’Avana tra governo colombiano e guerriglia marxista Farc, il ministro della Difesa ha comunicato ieri la lista dei 23 municipi dei 12 dipartimenti che garantiranno il rientro nella vita civile dei combattenti. Zone di pace «temporanee e transitorie» che, monitorate dalla speciale commissione Onu e dalla Comunità degli stati americani e caraibici (Celac) garantiranno l’impiego degli ex guerriglieri nelle attività produttive e sociali.

Un compito a cui le strutture legali dell’organizzazione armata si sono sempre dedicate, sviluppando un’alternativa concreta alle carenze strutturali del «narco-stato» colombiano e contrastando il paramilitarismo. Una di queste zone si trova nel dipartimento Meta e comprende il municipio di Mapiripan.
«Quel che si è negoziato all’Avana costituisce un passo importante, ma nella nostra zona vi sono grandi interessi e una scia di sangue che non ha trovato riparazione». Così ha detto al manifesto l’attivista colombiano Willian Aljure, invitato di recente in Italia da Libera internazionale. Mapiripan ha dato il suo tributo in termini di vittime, il cui saldo complessivo – in oltre cinquant’anni di conflitto armato – è di circa 260.000 morti, 45.000 scomparsi e 6,9 milioni di sfollati.

Il dipartimento – ha spiegato l’attivista – è purtroppo celebre per diversi cicli e fasi di violenza che l’hanno attraversato, emblema delle storture strutturali di cui è preda il paese dall’assassinio del popolare leader liberale Jorge Gaitan, ucciso il 9 aprile del ’48.
«A Maripan – ci ha raccontato Aljure – i liberali si sono armati per rivendicare il diritto alla terra. Mio nonno, il capitano Dumar Aljure, era uno di loro. Nel ’58, come parte di un Patto di Pace, per disposizione del generale Gustavo Rojas Pinilla, gli venne concessa un’azienda agricola. Ma il governo ha tradito quei patti e ha ucciso i miei nonni, dando avvio a una situazione di soprusi e illegalità che si mantiene tutt’ora con nuove modalità, nuove mire e nuovi intrecci di potere, sempre supportati dalla violenza di paramilitari».

Sotto accusa, le attività dell’impresa italo-spagnola-colombiana Poligrow, «che si serve di paramilitari per espellere i contadini dalle loro terre e acquisirle illegalmente con la complicità di polizia, esercito e autorità locali. Con il suo progetto di palma e jatropha, che si estende su circa 3500 ettari nella tenuta Macondo e minaccia zoneprotette come Barandales e Las Toninas, ha una facciata “ecosostenibile”, ma in realtà devasta l’ambiente, inquina le acque e viola i diritti delle comunità indigene».

Aljure fa parte di una rete di vittime denominata Compaz (Comunidad costruendo paz) che riunisce oltre 30.000 famiglie ed è appoggiata dalla Comunità interecclesiale Giustizia e Pace, che ha accompagnato le persone colpite dalla violenza nel processo di riparazione previsto dalla «giustizia di transizione», nell’ambito delle trattative dell’Avana. Tutte le famiglie, come quella di Aljiure sono rimaste vittime della violenza dei paramilitari e hanno denunciato l’attività di spoliazione e soprusi compiuta dall’impresa Poligrow.

L’attivista ha conosciuto l’organizzazione umanitaria in un momento particolarmente drammatico della sua esistenza, dopo essere stato pesantemente colpito negli affetti e nei suoi diritti. Ci ha racontato ancora:

«I paramilitari hanno ucciso i miei zii, ammazzato mio padre e mia madre dopo averla torturata. A luglio del 1997, la mia famiglia è stata colpita dal massacro di Mapiripan. I paramilitari provenienti dall’Uraba Antioqueno, con la complicità della Brigata 17 si trasferirono a Meta, dove agirono con l’appoggio dell’esercito. Per oltre cinque giorni tennero sotto assedio Mapiripan e commisero numerosi omicidi. La Corte interamericana per i diritti umani ha riconosciuto la responsabilità dello Stato colombiano, ma nulla è cambiato per la popolazione. Io e la mia famiglia abbiamo i documenti che attestano la proprietà dell’azienda di mio nonno, di cui siamo gli eredi. I paramilitari al soldo dell’impresa Poligrow sono però venuti a minacciarci, ci hanno distrutto la casa e il bestiame e obbligati ad andarcene. Quando sono tornato, mi hanno minacciato di morte insieme a un rappresentante legale dell’impresa. Alcuni capi paramilitari sono oggi in carcere, altri proseguono la loro attività. Ufficialmente le loro strutture non esistono più, ma si sono riciclati nella difesa delle grandi imprese multinazionali. Per attutire la natura politica delle loro azioni, il governo le chiama Bacrim, bande criminali».

L’attivista, allora, non riesce a darsi per vinto: possibile – si chiede – che lo stato «scelga di proteggere gli interessi di imprenditori stranieri e lasci senza tutela un cittadino colombiano?» Decide di andare avanti, cercare qualcuno che lo difenda. Porta prove e documenti alla polizia. «E in quel momento mi arriva una telefonata di alcuni amici ingegneri che lavoravano nell’impresa Poligrow . Mi dicono che stanno venendo a uccidermi nella stazione di polizia. Mi ricordo della Commissione interecclesiale. Li chiamo. Vengono a prendermi. E mi salvano la vita. Da allora, mi hanno contattato altre famiglie e, nonostante la campagna di terrore e discredito, continuo a rivendicare i miei diritti».

Riceviamo e pubblichiamo

Egregi Signori,

Vi scrivo la presente in nome e per conto di Poligrow Colombia Ltda (“Poligrow”) con riferimento all’articolo da Voi pubblicato sul sito internet http://ilmanifesto.it/ in data 24/06/2016 che riporta notizie del tutto inveritiere e gravemente lesive e diffamatorie nei confronti della mia assistita che fa presente quanto segue:

  • essa opera in Colombia, nel pieno rispetto della legge colombiana, acquistando terreni su cui non esistono diritti delle comunità indigene, come certificato sia dal Ministero dell’Interno colombiano, sia dall’ente governativo Unidad para la Atenciòn y Reparaciòn Integral a las Victimas, che ha attestato l’inesistenza di denunce per accaparramento dei terreni da parte di Poligrow;
  • essa non ha alcun rapporto con gruppi armati o strutture criminali ed è assolutamente evidente alle autorità e alla società colombiana che tutte le sue azioni sono state guidate dalla legalità. A Mapiripán, dove si trova la piantagione Poligrow, la sicurezza è garantita dalle Divisioni IV e VII dell’Esercito Nazionale di Colombia e dalla Polizia del Guaviare, come possono testimoniare il Maggiore Generale Gilberto Rocha Ayala e il Brigadiere Generale Oswaldo Peña Berbeo e, per il Dipartimento di Guaviare, il Colonnello José Antonio Gonzales;
  • il suo progetto costituisce un rilevantissimo strumento di sostegno e di sviluppo sociale per le popolazioni locali; la retribuzione dei circa 500 dipendenti si colloca ben al di sopra dei minimi di legge (come da certificazione ISO 9001 ottenuta);
  • essa svolge anche un’attività benefica tramite la Fundaciòn Poligrow, contribuendo allo sviluppo delle popolazioni di Mapiripàn, attraverso la formazione e l’educazione dei più giovani (alfabetizzazione e sostegno agli studenti locali) ed il cosiddetto “micro credito” finalizzato allo sviluppo delle imprese locali;
  • Rainforest Alliance ha certificato la piena sostenibilità ambientale delle attività di Poligrow, che ha riforestato circa 200 ettari di territorio con piante autoctone e sta sviluppando progetti a tutela dell’ecosistema con primarie fondazioni ambientaliste italiane (tra le quali Omacha e Youluca);
  • le principali testate giornalistiche colombiane (Dinero, El Tiempo), oltre alla testata internazionale EurasiaIndustry, hanno sempre riconosciuto il ruolo di Poligrow quale propulsore dello sviluppo economico nella regione colombiana.”
  • Poligrow ha altresì partecipato all’evento EXPO 2015 su espressa richiesta dal Ministero dell’Agricoltura colombiano come dimostra anche l’intervento del Vice Ministro dell’Agricoltura alla conferenza che si è svolta a Torino l’11 giugno 2015, i cui lavori sono stati aperti dall’Ambasciatore italiano in Colombia (a questo link il video della conferenza: Round of meetings organized by the Colombian Government | EXPO Milan 2015);

Avv. Alberto Nanni