Le storie di figli, fratelli, sorelle riconciliati mi hanno sempre acchiappato (forse per proiezione, magari per desiderio di emulazione). Tutte le storie poi in fondo parlano di questo: il passato dei padri ricade sul presente dei figli, vendette fratricide, tradimenti, eredità spartite a duello.

 

 

 

 

Ognuno di noi è nato da un ventre, ognuno di noi vive accanto a esseri umani vicini per sangue ma non sempre per cervello o cuore, ognuno di noi morirà solo, senza dimenticare errori, rivalità, bugie. Parricidi, infanticidi, matricidi, incesto, le declinazioni dell’amore deviato tra consanguinei.

 

 

 

Edipo destinato a uccidere il padre e a giacere con la madre. Medea assassina dei suoi stessi figli. Urano, per toglierseli di torno, infilava di nuovo i neonati nel ventre da cui erano venuti. Crono divorò tutti i suoi figli, subito dopo la nascita. Da qui parte tutto: da Star Wars a Pirandello fino alla tv spazzatura. Da allora ci siamo evoluti ma solo un po’, sotto sotto sempre là stiamo: le storie, per funzionare, hanno bisogno di un uomo con tendenze incestuose, di una donna incatenata in un amore edipico fino alla fine dei suoi giorni, di un padre che non riconosce i propri discendenti (e fugge in un paradiso fiscale).

 

 

 

Da una ventina d’anni siamo tutti un po’ fratelli di tutti: genitori si lasciano e figliano di nuovo con nuovi partner, apparteniamo tutti a famiglie allargatissime: ritrovarsi a chiamare sorella un’emerita sconosciuta solo perché i nostri genitori scopano, passano i weekend insieme fuori città portando noi figlie – «son coetanee, chissà che non diventino amiche» – ma non si sa quanto la relazione reggerà (forse fino a quando la figlia della «matrigna» una notte si confonderà e andrà a letto col fidanzato della «sorellastra»)…

 

 

 

Nel romanzo Figlie dell’estate (Keller editore) della tedesca Lisa-Maria Seydlitz (classe 1985) tutta questo furore passionale non esiste: siamo nel civile nord Europa, una famiglia con una sola bambina, un padre che si assenta, a volte per lavoro, a volte per soggiorni in clinica non ben identificati.

 

 

 

Il libro interseca due piani temporali: un presente in cui Juno, la giovane ormai divenuta orfana di padre, ricevuta una lettera anonima grazie alla quale scopre di avere ereditato una casa in Bretagna, parte immediatamente, in barba ai silenzi inoppugnabili della madre; un passato di vita familiare di non detti, sorrisi sghembi, amore filiale verso una figura paterna complicata. Durante il soggiorno francese la protagonista incontrerà Julie, bella ragazza marsigliese, che occupa la casa di Juno senza darci peso. Il loro è un incontro inatteso, foriero di scoperte.

 

 

 

 

La leggerezza di ritrovarsi vicine tra estranee (che estranee non sono affatto), la possibilità di migliorarsi, fare i conti con un passato non vendicativo né punitivo, quanto piuttosto occasione e riparo, cura e recupero, superamento della solitudine e potenziale condivisione. Senza ghingheri o esclamazioni si scopriranno sorelle consanguinee, di diverse madri ma dello stesso seme: somiglianze a distanza, curiosità da far venire a galla nuotando insieme dentro il mare caldo dell’estate. (Pur sembrandomi, nella mia trama personale, un’utopia impossibile, ho amato molto questo lieve libro a lieto fine).
fabianasargentini@alice.it