Referendum costituzionale in estate? L’eventualità è assai improbabile, eppure il governo continua a non escluderla. L’ha spiegato ieri in prima commissione alla camera il vice ministro dell’interno Filippo Bubbico, intervenuto al question time per rispondere a un’interrogazione del deputato di Sinistra italiana Stefano Quaranta.
La premessa è nota: la riforma costituzionale dev’essere ancora votata in seconda e definitiva lettura dalla camera dei deputati, potrà esserlo dal 14 aprile e il governo è evidentemente intenzionato a non perdere un giorno. Nessun dubbio che sarà approvata, ma mancherà il quorum rafforzato dei tre quinti dei deputati. Dunque sarà possibile chiedere il referendum per confermare o abbattere la legge di revisione costituzionale (43 articoli modificati da approvare o bocciare in blocco), anzi il referendum è già una certezza visto che lo chiederanno nel numero prescritto sia i deputati e senatori di opposizione (che hanno provato invano a fermare la riforma) sia i parlamentari di maggioranza (che immaginano un plebiscito per il presidente del Consiglio).
Le procedure previste in questo caso dalla legge del 1970 sul referendum sono chiare: l’ufficio centrale della Cassazione – al quale andranno rivolte le richieste di referendum – e poi il Consiglio dei ministri – che dovrà fissare la data – dovranno attendere i tre mesi previsti per consentire ai promotori di raccogliere le firme dei cittadini (500mila) in modo da aggiungere una richiesta popolare a quella «istituzionale» dei parlamentari.

Non solo le procedure, anche i precedenti lo dicono, come ha ammesso ieri in commissione Bubbico: gli unici casi sono quelli del 2001 e del 2006, quando giudici e governo lasciarono trascorrere i tre mesi, nel secondo caso persino invano perché il centrodestra non riuscì a raccogliere le firme. Ma ugualmente l’allora presidente del Consiglio Amato, oggi giudice costituzionale, spiegò che «non si può interrompere la procedura senza violare i diritti costituzionali dei promotori». I promotori del (già costituito) comitato del No quest’anno annunciano già che tenteranno di raccogliere le firme – anche perché contestualmente avvieranno la raccolta di quelle necessarie a un altro referendum, abrogativo della legge elettorale. Eppure il governo attraverso il viceministro Bubbico riferisce che «autorevoli costituzionalisti sostengono che non sia necessario attendere in ogni caso la decorrenza del termine dei tre mesi, tenuto conto che la celebrazione del referendum» sarebbe comunque assicurata dalla richiesta dei parlamentari. Naturalmente dal punto di vista politico non è lo stesso se a chiedere il referendum saranno solo i parlamentari renziani o 500mila cittadini contrari alla riforma. Né sarà lo stesso votare a ottobre – che resta la data più probabile – o in piena estate.

Già, perché anche forzando al massimo le procedure previste dalla legge del ’70, e dunque non concedendo i tre mesi per la raccolta delle firme, la prima data utile per il referendum risulta essere il 19 giugno. Cioè esattamente tra il primo e il secondo turno delle prossime amministrative, secondo l’orientamento del Viminale. Un attentato alla partecipazione, che in fondo non conviene neanche a Renzi e al suo tentativo di personalizzare al massimo il voto, malgrado questo referendum non preveda un quorum minimo di partecipazione per essere valido. Di certo il referendum non sarà accoppiato con le elezioni comunali, visto che il governo ha appena evitato di farlo per il referendum contro le trivellazioni (collocato il 17 aprile): «Ci sono problemi tecnici difficilmente superabili», ha detto ancora Bubbico. Aggiungendo che l’ultima decisione sarà presa quando sarà completato il percorso di revisione costituzionale. Ad aprile, dunque. Secondo Quaranta è «un modo per tenersi le mani libere e decidere solo alla fine cosa è meglio fare. Ma sarebbe gravissimo non consentire la raccolta di firme tra i cittadini».