Dalle grandi protagoniste della seconda onda del femminismo americano, Betty Friedan e Gloria Steinem, alla prima candidata donna e afroamericana alla presidenza Usa Shirley Chisolm, alla combattiva deputata Bella Azbug, la nuova serie di Hulu, Mrs. America, evoca anni e personaggi decisivi nella storia della lotta per l’avanzamento dei diritti delle donne. Ma al cuore dello show di Dahvi Waller – produttrice di una stagione di Mad Men, autrice di alcuni episodi del serial di Matthew Weiner e di Una donna alla Casa Bianca (Commander in Chief), in cui Geena Davis era il presidente degli Stati uniti – è un’anti-eroina di cui oggi forse ci si ricorda meno, ma il cui contributo alle guerre della cultura -specie alla luce del nostro presente- è stato altrettanto determinante.

NATA Phyllis McAlpin Stewart nel Missouri della Grande Depressione, che lasciò suo padre permanentemente disoccupato e costrinse sua madre ad entrare nella forza lavoro per mantenere la famiglia e gli studi della figlia, Phyllis Schlafly (il cognome difficile da pronunciare è quello del marito John, un ricco avvocato di St Louis con parecchi anni più di lei) è entrata nella politica attraverso il think tank conservatore Enterprise Institute. La prima di parecchie campagne elettorali (che perse tutte) è quella per un seggio al Congresso dell’Illinois, nel 1952. L’ultima sarebbe stata nel 1970. L’anticomunismo e l’antiglobalismo erano i suoi cavalli di battaglia da giovane. Alla convenzione repubblicana del 1960 contribuì alla rivolta conservatrice contro le posizioni «antisegregazioniste e antidiscriminazione» assunte da Nixon. Il suo libro, A Choice Not an Echo è considerato uno degli strumenti della vittoria del conservatore Barry Goldwater alla nomination repubblicana del 1964. Ma tra le varie crociate dell’instancabile Schlafly (il suo ultimo libro, pubblicato dopo la morte avvenuta nel settembre 2016, si intitola The Conservative Case for Trump) quella più determinante e su cui si concentra Mrs. America, è quella ferocemente combattuta contro l’Equal Rights Emendament, l’emendamento per la parità dei diritti della donna.

NELLA SERIE di Waller, scritta secondo una visione della storia al femminile, in cui i personaggi maschili sono serviti di contorno un po’ come nella sottovalutata The Good Girls’ Revolt qualche anno fa, Phyllis è anche il titolo del primo episodio. Interpretata con gelida perfezione di dettagli e un guardaroba in infinite sfumature di lino pastello, da Cate Blanchett, Schlafly coltiva con determinazione – e l’appoggio finanziario del marito- le sue ambizioni politiche. Non importa se il suo successo deve passare attraverso umilianti apparizioni in bikini a stelle strisce o se il famoso conduttore del talk show tv continua a interromperla e a dirle di sorridere (al che, è parte del genio di Blanchett saper trasformare i suoi denti perfetti in temibili zanne). È durante un incontro faticosamente ottenuto con Goldwater – in cui le si chiede di prendere appunti perché «la sua scrittura sarà senz’altro migliore» di quella degli uomini presenti – che Schlafly capisce di dover cambiar marcia.

IL SUO VALORE in quella stanza, e nei corridoi del potere maschile, non quello di contribuire con delle idee ma quello di portare dalla loro parte il voto delle donne. Provocatoria quanto interessante, l’ipotesi su cui ruota Mrs. America, e cioè che a modo suo anche Schlafly fosse un femminista. O almeno una femmiopportunista. A confronto di «Gloria» (Rose Byrne), «Betty» (Tracey Ullman), «Bella» (Margo Martindale) o «Shirley» (Uzo Aduba) – ognuna con un episodio dedicato della serie- che vediamo già star dei salotti politici di Washington e New York, della redazione della rivista «Ms.» e della convenzione di Miami del 1972, Schlafly opera dall’Illinois, il cuore del Midwest. Il suo strumento d’informazione una newsletter per casalinghe, tipo quelle con le ricette culinarie e i consigli per pulire gli argenti, che circola via posta. La piattaforma politica si discute all’ora del tè con le amiche. Il voto dei deputati dell’Illinois si conquista offrendo loro filoni di pane fresco fatto in casa all’ingresso del parlamento .

O IN APPARIZIONI pubbliche in cui Schlafly non si dimentica mai di esordire ringraziando suo marito per averle permesso di uscire di casa e essere lì. Ma non lasciatevi ingannare dal setting che sembra un viaggio indietro nel tempo, agli anni cinquanta: la Phyllis di Mrs. America è una versione femminile di Roger Ailes – abilissima nella manipolazione dei media e degli avversari, implacabile con chi cerca di sbarrarle la strada, incurante della verità se la falsa informazione serve meglio i suoi propositi e disposta a scendere a patti anche con qualche diavolo, come le casalinghe razziste della Georgia, o la Birch Society, che appoggiava il Ku Klux Klan. Infatti – mentre Bella, Gloria, Shirley e Betty (un po’ sorelle un po’ rivali che navigano intrepide destreggiandosi tra le sfumature di sessismo e di razzismo della sinistra, e ponderando se portare il dibattito sull’aborto su scala nazionale le affonderà tutte o no) l’obbiettivo di Phyllis è proprio il viaggio indietro nel tempo, per cancellare i traguardi raggiunti dai movimenti del Sixties e, con loro, la controcultura. In quel senso STOP – che sta per stop taking away our privileges, non toglieteci i nostri privilegi – il geniale acronimo della sua campagna contro la ratificazione dell’Equal Rights Emendament ha un doppio significato. Ronald Reagan (sarebbe stato eletto alla presidenza nel 1981) è spesso evocato in Mrs. America e il titolo dell’ultimo episodio (in onda a fine maggio) porta il nome del grande idolo del movimento neoconservatore. Ma il filo rosso che Waller traccia a partire da Schlafly, arriva diretto alla Casa bianca di Trump.