5º GIORNO DAL VOTO DELLA CAMERA SULLA RICHIESTA DI IMPEACHMENT .

Con un sorprendente cambio di marcia, l’ambasciatore Usa presso l’Unione Europea Gordon Sondland ha di fatto confermato che sì, con l’Ucraina c’è stato un quid pro quo, uno scambio di favori.

Sondland ha affermato che, dopo la sua prima udienza alla Camera sull’impeachment, ha cominciato a ricordare nuovi dettagli sul legame tra gli aiuti Usa per la sicurezza di Kiev e le indagini ucraine di Donald Trump sul suo rivale politico Joe Biden. E ha aggiunto un addendum alla sua deposizione, resa pubblica ieri.

I RICORDI DI SONDLAND

La Camera ha pubblicato un’appendice di tre pagine, dove il diplomatico afferma che leggere le deposizioni degli altri testimoni lo ha aiutato a ricordare alcuni dettagli chiave.

Si è ricordato di aver detto a un funzionario ucraino, il 1° settembre, che gli aiuti militari Usa per la sicurezza di Kiev erano collegati direttamente a un impegno pubblico dell’Ucraina a indagare sulle ingerenze nelle elezioni statunitensi del 2016 e, separatamente, su Burisma, la società per cui lavorava Hunter Biden.

Il 1° settembre è anche il giorno in cui Bill Taylor, il principale funzionario americano a essersi allarmato per ciò che stava accadendo con l’Ucraina, scrisse a Sondland il seguente messaggio: “Stiamo dicendo che l’assistenza alla sicurezza e gli incontri alla Casa Bianca sono subordinati alle indagini?”. Sondland rispose con un breve “chiamami”.

ANCORA QUALCHE VUOTO DI MEMORIA

Nel piano, la dichiarazione pubblica delle indagini ucraine sui Biden sarebbe dovuta arrivare direttamente dal presidente Volodymyr Zelensky, ma Sondland non ricorda chi glielo aveva detto – se l’avvocato personale di Trump Rudy Giuliani, o Kurt Volker, l’inviato speciale degli Stati Uniti per l’Ucraina. Al momento Sondland non ricorda nemmeno quante volte esattamente ha parlato con Trump tra il 6 e il 9 settembre, giorno in cui aveva scritto a Taylor il famoso Sms “no quid pro quo” a seguito di una conversazione telefonica con Trump.

Questo messaggio è estremamente importante, perché è su di esso che si basa tutta la linea di difesa iniziale della Casa Bianca, secondo cui non vi è stato alcun quid pro quo, e l’sms lo dimostrerebbe. La nuova testimonianza di Sondland, invece, dimostra che quel sms altro non era che un punto all’interno di una discussione, non un’affermazione discordante.

È difficile ora per i Repubblicani e per Trump marginalizzare la figura di Sondland: non fa parte del famigerato “Deep State”, i poteri forti che si oppongono a Trump, e non è un “Democratico radicale”. È un incaricato che ha dato un milione di dollari per la cerimonia di insediamento del presidente. È uno dei loro. E dice che il quid pro quo c’è stato.

C’È ANCHE LA TESTIMONIANZA DI VOLKER

La ritrovata memoria di Sondland è tutt’altro che l’unica grande notizia di ieri sull’indagine per l’impeachment. Il comitato di intelligence della Camera ha diffuso anche la trascrizione della testimonianza dell’ex inviato speciale per l’Ucraina Kurt Volker. Da queste testimonianze si ricava il quadro dell’ingombrante e scomoda (onni)presenza di Giuliani in Ucraina.

Viene descritta una cerchia di alti funzionari esasperati dal coinvolgimento di Giuliani, incluso il Segretario di Stato Mike Pompeo. Stando a Volker, Giuliani non faceva altro che ripetere a Trump che “degli ucraini non ci si può fidare”. Volker ha anche affermato di aver incontrato Zelensky all’inizio di luglio e di averlo avvertito che il coinvolgimento di Giuliani era problematico.

UN NUOVO COLLABORATORE

Infine, Lev Parnas, uno dei soci di Rudy Giuliani incriminato per accuse di finanziamento illecito della campagna, ha accettato di collaborare con gli investigatori dell’impeachment. Parnas è anche coinvolto negli sforzi per far allontanare da Kiev l’ex ambasciatrice Usa in Ucraina, Marie Yovanovitch.

Non una buona giornata, per Giuliani.