1º GIORNO DAL VOTO DELLA CAMERA SULLA RICHIESTA DI IMPEACHMENT

Com’era prevedibile, la Camera Usa ha votato per approvare le procedure di impeachment per Donald Trump, in un’azione storica che avvia la nuova fase pubblica del processo e che sottolinea la tossica polarizzazione politica che fa da sfondo.

232 FAVOREVOLI, 196 CONTRARI

La risoluzione è passata con 232 voti favorevoli e 196 contrari; due deputati democratici hanno votato contro unendosi ai Repubblicani, mentre un deputato indipendente, ex repubblicano che aveva lasciato il partito in opposizione a Trump, ha votato a favore, con i Democratici.

Con questa risoluzione si fissano le regole per avviare la seconda fase dell’indagine sulla possibile messa in stato d’accusa del presidente Usa; il democratico Adam Schiff, presidente del Comitato di intelligence della Camera, ha ora il compito di tenere audizioni a porte aperte. Si passa quindi a una fase mediatica che consentirà al pubblico di vedere cosa hanno scoperto gli investigatori.

Da un punto di vista pratico, la risoluzione delinea i diritti e le procedure che guideranno il processo da ora in avanti, incluso come Trump e il suo team legale saranno in grado di montare una difesa; il suo significato e peso però, sono più profondi.

Dopo cinque settimane di indagini private, con questa mossa i Democratici hanno segnalato che, nonostante l’opposizione repubblicana, ora hanno abbastanza fiducia nella gravità dei fatti alla base dei rapporti di Trump con l’Ucraina da portare il caso davanti al giudizio non solo dei loro oppositori, ma del popolo degli Stati uniti.

LA DIFFERENZA FRA CRONACA E STORIA

Il voto, presieduto da Nancy Pelosi. si è tenuto in un’aula della Camera molto più affollata del solito, ed è arrivato dopo un dibattito di 45 minuti carichi del peso del momento.

“Questa non è un’occasione di gioia – ha detto Pelosi durante l’intervento che ha tenuto accanto a un grande cartello raffigurante la bandiera americana – in tutto questo è in gioco la nostra democrazia”.

Se i Democratici mettono il discorso in una prospettiva storica, i Repubblicani, per difendersi, hanno preferito fare appello alla cronaca, accusando i rivali di aver costruito appositamente tutto il processo per paura di perdere nuovamente le elezioni contro Trump.

Pochi minuti dopo il voto, Kevin McCarthy, il leader della minoranza repubblicana alla Camera, ha denunciato il processo come “un tentativo palese di distruggere il presidente in quanto i democratici hanno paura di non poterlo sconfiggere alle urne”.

“Crediamo che ci sia un rischio per la Repubblica – ha indirettamente risposto Pelosi nel suo intervento alla Camera – se non manterremo ciò che i padri fondatori hanno creato: tre rami uguali di governo, separazione dei poteri, controllo ed equilibrio reciproco. I fondatori non volevano una monarchia”.

Ivanka Trump si è spinta fino a paragonare suo padre a Thomas Jefferson che si diceva “circondato da nemici e spie”.

LA TESTIMONIANZA DI TIM MORRISON

Anche se ora le audizioni potranno essere seguite dal pubblico, quella di ieri è avvenuta ancora a porte chiuse, e ha visto protagonista Tim Morrison, principale consigliere per la Russia e l’Europa del Consiglio di sicurezza nazionale, di fede repubblicana e scelto da Trump. Morrison ha confermato che l’ambasciatore presso l’Unione europea Gordon Sondland ha affermato che i fondi stanziati per l’assistenza militare ucraina non sarebbero stati rilasciati fino a quando il Paese non si fosse impegnato a indagare sui Biden. Potrebbe sembrare in pratica il famoso quid pro quo, ma Morrison dice che non lo è.

Nelle sue osservazioni iniziali non ci sono conclusioni sul coinvolgimento di Trump in quella tattica di pressione, mentre a questo proposito indica ripetutamente Sondland, di cui dice di non aver “mai capito” perchè tosse coinvolto nella politica ucraina.

Per Morrison non c’è stato niente di illegale o insolito nella telefonata di luglio fra Trump e Zelensky, ma l’ha trovata comunque sorprendente quanto basta da chiedere all’avvocato capo del Consiglio di sicurezza nazionale, John Eisenberg, di darci un’occhiata, in parte per il timore che potessero trapelare fughe di notizie.