Non si può che guardare con simpatia al premier greco che diffida dei buoni consigli di chi sa dare solo il cattivo esempio, come il Premier Renzi che chiede alla Grecia maggiore responsabilità, cioè un’altra sana dose di austerità e riforme strutturali, mentre l’andamento dell’economia italiana stagna nonostante sia spinto da un forte vento di propaganda e da riforme tese a svalutare ulteriormente il lavoro.

Secondo i dati sulle Comunicazioni Obbligatorie, pubblicati dal Ministero del Lavoro, a maggio i contratti attivati al netto delle cessazioni, sul totale delle tipologie contrattuali, sono 178176, con un miglioramento esiguo rispetto allo stesso mese del 2014 di 11896 contratti. Le attivazioni nette di contratti a tempo indeterminato sono 1610 e rappresentano meno dell’1% del totale dei nuovi contratti. Ancora una volta, emerge uno spaccato di genere che discrimina le donne: i nuovi contratti a tutele crescenti riguardano esclusivamente gli uomini (3142): per le donne il numero di contratti a tempo indeterminato a maggio è negativo (-1532).

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Nel confronto con maggio 2014, la variazione per i contratti a tempo indeterminato è positiva e pari a 18752: un anno fa il saldo per questa tipologia contrattuale fu negativo (-17142). Un aumento, seppure esiguo, esiste, ma appare inopportuno parlare di “ripresa”, “rilancio” o “successi” dal momento che se si è fermata l’emorragia delle cessazioni, non è possibile dire che adesso i nuovi rapporti di lavoro abbiano spiccato il volo.

Ça va sans dire che a farla da padrone sono ancora i contratti a tempo determinato che rappresentano invece il 98,7% dei nuovi contratti e sono distribuiti piuttosto uniformemente tra donne e uomini (44 e 56 percento rispettivamente), quasi a dirci che il precariato non discrimina, è uguale per tutti. Il restante 0.4% è rappresentato dalla somma tra contratti di collaborazione (che mostrano un saldo negativo nel mese di maggio), apprendistato, contratti di inserimento lavorativo, contratto di agenzia a tempo determinato e indeterminato; contratto intermittente a tempo determinato e indeterminato e contratti di lavoro autonomo nello spettacolo. Al totale dei nuovi contratti, vanno aggiunte le trasformazioni, di contratti a tempo determinato e apprendistato in contratti a tutele crescenti pari a 29934 unità.

Rispetto a maggio 2014, il numero di contratti (netti) a tempo determinato aumenta di 7362 unità. Non esiste nessun aumento significativo rispetto al maggio scorso neppure a guardare i contratti storicamente precari. Bisognerà aspettare ancora qualche mese, quando avremo il dettaglio del secondo trimestre, per capire se questa bassa movimentazione contrattuale sia dovuta all’allungarsi della durata dei contratti seppure a scadenza, oppure a una vera e propria frenata in termini assoluti, rispetto all’inizio dell’anno.

Aspetteremo a fine mese i dati dell’Istat sull’occupazione per sapere se i nuovi contratti si traducono in nuova occupazione (come nel caso di aprile do però il numero di contratti era notevolmente superiore) oppure vengono utilizzati per operare una sostituzione tra vecchi e nuovi disoccupati (se non inattivi).

Fin qui, i dati del Ministero, seppure ancora provvisori, rimuovono qualsiasi dubbio. Da un lato, l’aumento del numero di contratti a tempo indeterminato, nella sua nuova veste a tutele crescenti, è trainato innegabilmente dagli sgravi contributivi e non dall’interesse delle imprese a creare nuova e buona occupazione, dall’altro, sbandierare segnali di ripresa è un gesto di mera propaganda che nasconde l’inadeguatezza della politica economica del governo.