Nel 1969 Andrea Carandini pubblicò una monografia su Vibia Sabina, l’austera moglie di Adriano, della quale possedeva un ritratto offertogli dal padre. A distanza di cinquant’anni, durante i quali si è visto sottrarre dai ladri il volto dell’augusta, l’archeologo che ha riportato alla luce gli albori di Roma riprende il filo del discorso, dedicando un’opera all’imperatore della celebre villa di Tivoli.
Adriano. Roma e Atene (Utet, pp. 368, euro 20), scritto assieme a Emanuele Papi, ripercorre la vita pubblica e privata del principe viaggiatore con l’obiettivo di approfondirne in particolare la visione architettonica, che si esplicò nei due epicentri dell’impero. Il volume debutta nel palazzo di Augusto al Palatino. L’accurata ambientazione topografica, finalizzata a proiettare il lettore nello spazio reale degli eventi, costituisce una delle peculiarità dello stile narrativo di Carandini.

DOPO UNA DIGRESSIONE sulle dinastie che hanno preceduto l’ascesa al potere nel 117 d.C., ecco comparire Adriano, adottato in extremis da Traiano per il caparbio opportunismo della consorte Plotina, filosofa e «grecizzante», la quale nel 100 aveva già favorito le nozze del suo protetto con Vibia Sabina. Quest’ultima era figlia di Matidia e nipote di Marciana, l’adorata sorella che Traiano onorò del titolo di augusta. Nella prima parte del libro, che concerne il rapporto di Adriano con Roma, Carandini traccia la biografia dell’imperatore designato per mano femminile attraverso una lunga sequenza di quadri storici.
A causa della mole di informazioni, il testo risulta poco scorrevole e a tratti ripetitivo. Nondimeno, emerge la verve di uno studioso appassionato che mostra affezione per i «suoi» personaggi. Oltre a ricostruire la genesi dei monumenti adrianei situati nell’Urbs, fra i quali si distinguono il Pantheon con il rifacimento del portico, il tempio dei divi Adriano e Sabina (Hadrianeum) e le province dell’impero, la nuova porta/arco al campo dei Saepta e il centro studi dell’Athenaenum – a Carandini piace scandagliare la personalità di un uomo che credeva a tal punto negli oroscopi da sacrificare l’amato Antinoo per ottenere, così come gli era stato predetto nel 116, sei anni aggiuntivi di vita.

IL BELLISSIMO FANCIULLO nubiano sarà venerato nel tempio di Osirantinoos ad Antinoupolis e di lui resterà indelebile il ricordo nella villa di Tivoli, la residenza preferita di Adriano, che l’aveva ereditata da Sabina tramutandola nello specchio di quel mondo percorso da Oriente a Occidente. Carandini mette inoltre in evidenza la propensione alle lettere e alle arti di un princeps dalle indubbie capacità militari che non ambì alle conquiste ma perseguì una politica di pace universale. Anche alla fine dei suoi giorni, Adriano manifestò il suo essere eccentrico.
A Roma, lui che aveva trascorso più della metà degli anni di governo in itinere, non voleva morire. Così si rifugiò a Baia dove il 10 luglio del 138 spirò per idropisia in presenza di Aurelio Antonino, il futuro Antonino Pio. Il corpo venne provvisoriamente tumulato nella villa che era stata di Cicerone a Pozzuoli affinché potesse espletarsi un rituale funerario non tradizionale, forse l’imbalsamazione alla maniera di Alessandro Magno. Solo dopo l’accordo tra Antonino Pio e il senato riguardo le esequie e la divinizzazione, nel 139 la salma sarebbe stata portata in una bara nel mausoleo che lo stesso Adriano aveva progettato e inserita nel colossale sarcofago di porfido alloggiato nella cella. A proposito del sarcofago, Carandini ipotizza che tra V e VI secolo vasca e coperchio siano stati sottratti al sepolcro di Adriano e traslati quali preziosi cimeli nelle basiliche del Laterano e del Vaticano. Nel 1968, il coperchio fu poi rimodellato dall’architetto Carlo Fontana e riutilizzato in San Pietro come sontuosa fonte battesimale.
«Piccola anima smarritella e delicatella / ospite e compagna del corpo /, verso quali luoghi ora te ne andrai /, lividina, intirizzita e nuderella; / né più come solevi darai svaghi…». Con la sua personale traduzione dei dimetri giambici composti da Adriano – testamento poetico-religioso di un iniziato ai Misteri Eleusini che elevò il paganesimo antico alla sfera invisibile e astrale dell’anima – Carandini sfiora infine la commozione, riportando l’imperatore alla dimensione del dolore mescolato a speranza che molti uomini comuni hanno sperimentato dopo di lui.

LA SECONDA PARTE del volume ha una struttura più fluida, organizzata per temi. Emanuele Papi analizza dapprima la fortuna di Adriano, a partire dal giudizio di Edward Gibbon, il quale – al contrario degli storici antichi – lo riteneva il migliore di tutti gli imperatori. Il ricordo del successore di Traiano si riaccese alla metà dei Cinquecento, quando nel mausoleo dove si fece seppellire – l’attuale Castel Sant’Angelo – Paolo III alias Alessandro Farnese incaricò il pittore fiorentino Perin Del Vaga di realizzare il trompe-l’œil di un salone con le megalografie di alcuni personaggi illustri, tra cui Adriano.
Citato da Machiavelli in un sestetto di «principi buoni», nel 1732 Adriano divenne protagonista di un melodramma di successo scritto da Metastasio. Sul declinare dell’Ottocento è una delle tele «classiche» di Alma Tadema a rappresentare l’imperatore ricciuto e barbuto mentre fa acquisti nella bottega di un vasaio ma è nel XX secolo che Adriano assurge a vera e propria icona pop. Il merito è soprattutto della penna di Marguerite Yourcenar, il cui best-seller Mémoires d’Hadrien (1951) fu stampato in più di venticinque milioni di esemplari. Di tutte la passioni di Adriano, Papi ne analizza soprattutto una: quella per la Grecia. Adriano il graeculus vide per la prima volta Atene quattro o cinque anni prima di diventare imperatore (nel 112, peraltro, era stato onorato col titolo di arconte e una statua in bronzo nel teatro di Dioniso). Nel 124 si reca anche ad Eleusi per farsi iniziare ai Misteri di Demetra. Qui, nel grande santuario mistico della Grecia, ritorna nel 128.

IL SUO ULTIMO VIAGGIO ad Atene risale al 131-132, quando assistette alla consacrazione ufficiale dell’Olympieion, il maestoso tempio di Zeus Olimpio avviato nel VI secolo a.C. dai tiranni Pisistratidi e che Adriano portò a compimento. In quell’occasione creò il Panhellenion, una confederazione di città greche «doc» con capitale Atene che – fra le altre cose – serviva a gestire il culto dell’imperatore. Panhellenia si chiamavano anche le nuove feste introdotte dal principe.
Se ad Atene la faccia di Adriano era ovunque – una sua statua fu collocata persino accanto alla magnificente Parthenos di Fidia – sono soprattutto i monumenti che egli stesso fece erigere a ricordare lo spirito di un ellenomane con il piglio da architetto. Era dai tempi di Pericle che ad Atene non si vedevano così tanti cantieri. Comparvero nuove tecniche costruttive e le pietre solcavano il mare per giungere dall’Eubea, dall’Asia Minore e dall’Africa ad abbellire l’Attica: cento colonne, marmi colorati, alabastri, tetti dorati furono impiegati, secondo il racconto di Pausania, per decorare la Biblioteca a nord dell’Agorà romana.
Di quest’edificio, che all’interno s’ispirava al templum Pacis di Roma, oggi non resta quasi nulla. Ma la città di Adriano, Hadrianopolis, è menzionata a imperitura memoria nell’iscrizione dell’Arco innalzato dagli Ateniesi per onorare il loro imperatore e marcare i confini con la vecchia città di Teseo.
Al volume hanno collaborato, con schede e tavole sui monumenti adrianei a Roma, Maria Cristina Capanna e Maria Teresa D’Alessio mentre le rielaborazioni grafiche relative agli edifici ateniesi sono a cura di Fabio Giorgio Cavallero.

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SCHEDA. Villa Adriana, il nuovo percorso del Serapeo del Canopo

Dallo scorso 22 marzo, a Villa Adriana – sito archeologico appartenente all’istituto autonomo «Villa Adriana e Villa d’Este – Villae», diretto da Andrea Bruciati – è possibile accedere, in gruppi ridotti e con l’accompagnamento di una guida, agli spazi del Serapeo, un articolato edificio il cui nome ricalca l’egiziano tempio di Serapide e che fa parte del complesso noto come Serapeo del Canopo. Il nuovo percorso permette di entrare in uno dei luoghi più «esclusivi» della villa e di ammirare dall’alto la volta del Serapeo nonché di affacciarsi sul Canopo – una lunga vasca circondata da portici e statue anche egittizzanti, ispirata al canale che collegava l’omonima città ad Alessandria – da una prospettiva del tutto inedita. Il Serapeo del Canopo costituisce uno degli scenari più suggestivi della Villa, palcoscenico estivo per la rappresentazione del potere attraverso feste e banchetti spettacolari e amatissimo rifugio di un imperatore dai gusti esotici e con l’ossessione della bellezza sempiterna.