Si è aperta da qualche giorno la 36° edizione del festival di Almada, che non è solo la manifestazione teatrale più importante del Portogallo, ma in qualche modo anche un perno dello spettacolo del «sud» del mondo. Addirittura una sorta di «anti Avignone», con le cui date coincide in buona parte, e rispetto al quale però mostra più attenzione e curiosità per rappresentazioni non certo minori, ma di più ampio spettro sociale, creativo, di animazione. Contando su un pubblico molto fidelizzato ma assai mescolato tra quello di una città «di provincia» dell’Europa (anche se solo il ponte 25 aprile sul Tago la divide da Lisbona) e gli intellettuali e i giovani di tutto il continente che hanno scelto di vivere e crescere nella capitale portoghese.

SPETTACOLI molto popolari si alternano così a ricerche molto avanzate, nei temi e nel linguaggio, con particolare interesse per un teatro che una volta si diceva «politico», e quello ancora sconosciuto dell’America meridionale, e qualche volta perfino africano. L’impegno rimane una bandiera forte di Almada, città con una forte tradizione di sinistra da quando ospitava i cantieri navali oggi liquidati, con una amministrazione sempre schierata a sinistra (oggi non mancano le polemiche dopo che il partito socialista ha sorpassato quello comunista alla guida della città).

CONFERMA spettacolare della «militanza» di questo festival, sta nella sua copertina che quest’anno è dedicata a un nome indiscutibile, Primo Levi, nel centenario della nascita celebrato qui come è stato in Italia. All’intellettuale partigiano e scrittore che ha sconfitto Auschwitz, è dedicato proprio oggi il convegno di approfondimento (con molti ospiti italiani e europei) nella Casa de Cerca, splendida location affacciata sul Tago dove avvengono gli incontri di maggior prestigio. E a Primo Levi è dedicato uno degli spettacoli cardine, prodotto e messo in scena dal Teatro Joaquim Benite che dell’intero festival è anima e organizzazione: la versione teatrale di Se questo è un uomo firmata dallo stesso autore assieme a Pieralberto Marchè poco dopo la pubblicazione del testo, benché poi abbandonata dallo stesso Levi (e una nuova versione per la scena è stata infatti approntata a Torino per l’edizione recentissima di Valter Malosti). Qui è il drammaturgo e regista Rogério De Carvalho a farsi carico dell’adattamento su un interprete di grandissimo valore, Claudio Da Silva, attore straordinario, capace di altissima concentrazione senza cedere mai a effetti o facilità interpretative, mantenendo la sobrietà assoluta e tanto più feroce del testo originario, anche nei momenti in cui la descrizione della vita nel lager comunica brividi poco solubili. Il tutto, come un laico rito, si compie dentro una scenografia di luci oppressive che si stringono oppressive come l’atmosfera del campo di concentramento, militare ed interiore.

UN’ALTRA presenza italiana si è rivelata in questa prima settimana del festival. È il Macbettu che da Shakespeare ha reinventato Alessandro Serra, immergendolo nella cultura ancestrale di una Sardegna sospesa, dove arrivano a coincidere valori e prerogative e violenze solo apparentemente fuori dal tempo. Gli interpreti solo maschili per tutti i ruoli, dietro lo schermo delle usanze elisabettiane, scoprono la ritualità efferata e la violenza quasi «devozionale» del potere, rendendo esplicito quello che nel testo è oscuramente contenuto. In ogni caso la comunanza linguistica neolatina, e fenomeni antropologici che Ernesto De Martino ci ha insegnato condivisi da tutto il sud dell’Europa, ha fatto sì che il pubblico abbia particolarmente apprezzato, entrando perfettamente nella evocazione costruita da Serra. Non sono mancati finora spettacoli più leggeri, almeno in apparenza. Come la iper-atletica contesa da umanissimo pollaio dell’argentino Pollo rojo, visto alla veneziana Biennale danza, o le svampite ma piuttosto temibili Três sozinhas (tre esuberanti squinzie, rigorosamente single), che a distanza ravvicinata col pubblico, su un tappeto di caramelle argentate, danno suggestioni fisiche e fisiologiche che ricordano i classici Dialoghi della vagina.