Il processo di impeachment all’ex presidente Donald Trump inizierà il 9 febbraio, in base a un accordo raggiunto venerdì dai due leader del Senato, il democratico Chuck Schumer e il repubblicano Mitch McConnell, che hanno deciso di ritardare il procedimento di due settimane.

L’accordo è giunto dopo una situazione di stallo sulle tempistiche di un processo cruciale per gli Stati uniti, che potrebbe impedire permanentemente a Trump di ricoprire cariche pubbliche.

Già il 13 gennaio la Camera aveva approvato un unico articolo di impeachment, «incitamento all’insurrezione», e avrebbe potuto costringere il Senato a iniziare immediatamente il processo semplicemente trasmettendo i documenti attraverso il Campidoglio.

Un ritardo, però, serve anche all’attuale presidente. Se da una parte Trump sta lottando per mettere insieme una squadra legale e una linea di difesa, dall’altra Biden ha bisogno di tutto il tempo del Senato per confermare la maggior parte dei suoi incaricati di governo.

Durante le trattative questo secondo punto è stato utilizzato dal Gop, che ha chiarito che i senatori repubblicani non avrebbero fatto nessun doppio lavoro e che durante il processo di impeachment non avrebbero preso parte a nessuna udienza di conferma.

McConnell avrebbe preferito rimandare l’inizio del processo di tre settimane, a metà febbraio, mentre Schumer e la presidente democratica della Camera Nancy Pelosi, di tutt’altro parere, avevano annunciato l’intenzione di consegnare i documenti lunedì 25 gennaio, per cominciare il processo martedì.

Nel corso della giornata, Biden ha chiesto pubblicamente al Congresso di ritardare: «Più tempo abbiamo per alzarci e correre per affrontare queste crisi, meglio è».

Annunciando il ritardo di due settimane, Schumer ha affermato di averlo fatto per consentire al Senato di portare avanti sia le nomine di Biden che la proposta da 2mila miliardi di dollari di aiuti economici per la pandemia, fulcro della sua agenda legislativa, prima di passare a occuparsi di Trump.

Questo balletto di date e dichiarazioni riporta la politica Usa a uno stato di negoziazioni che riguarda tanto i due partiti che i dibattiti interni ai partiti stessi, prassi totalmente archiviata negli anni di presidenza Trump, che aveva sempre tentato di gestire la democrazia come una monarchia social non troppo illuminata, con decisioni unilaterali estemporanee comunicate tramite tweet.

«Vogliamo tutti lasciarci alle spalle questo terribile capitolo della storia della nostra nazione – ha dichiarato Schumer – ma la guarigione e l’unità arriveranno solo se ci saranno verità e responsabilità e questo è ciò che questo processo dovrà fornirci».

Doug Andres, portavoce di McConnell, ha definito l’accordo «una vittoria per un giusto processo. I repubblicani si erano proposti di garantire che i prossimi passi del Senato rispettassero il diritto di un giusto processo all’ex presidente Trump, l’istituzione del Senato e l’ufficio della presidenza. Obiettivo raggiunto».

Al Senato Schumer ha avvertito: «Un processo si terrà e sarà al Senato degli Stati uniti, e si voterà se condannare il presidente». La precisazione era indirizzata principalmente a una piccola minoranza interna del partito democratico guidata dal moderato Tim Kaine, che spinge per evitare un secondo impeachment e approvare per Trump una risoluzione, appellandosi al 14° emendamento, che vieta ai funzionari federali di ricoprire cariche se «si sono impegnati in insurrezioni o ribellioni» contro il governo, impedendo così al tycoon di candidarsi di nuovo presidente.

La proposta è stata immediatamente affossata da Schumer: «Non ha alcun senso che un presidente o un funzionario possa commettere un crimine atroce contro il nostro Paese e poi andarsene evitando ogni responsabilità subendo solo un voto per allontanarlo da incarichi futuri».