Se ne è andato così, ieri, in uno dei tanti giorni di coronavirus, Eduard Limonov, scrittore russo prolifico, politico, esteta e, last but not least, guerrigliero, assunto alla celebrità mondiale dopo che Emmanuel Carrère ne pubblicò nel 2011 la biografia. Ne ha dato notizia il deputato Sergey Shargunov che gli era stato assai vicino negli ultimi tempi. La causa del decesso non è stata ancora data anche se si parla di «complicazioni a seguito di un intervento chirurgico».

Limonov (al secolo Savenko) era nato nel 1943 e crebbe in Ucraina a Kharkov dove si distinse nelle battaglie notturne di strada tra ragazzini, mentre di giorno lavorava come operaio (su questo periodo della sua vita sono stati tratti tre film per la tv). Iniziò presto a scrivere in prosa e la provincia gli andava stretta. A 21 anni raggiunse Mosca dove frequentò il mondo della cultura underground della capitale che si ritrovava all’Arbat. Un mondo fatto di sbronze colossali, di utilizzo smodato di oppio proveniente dal Centroasia, di contrabbando di jeans americani ma anche dai primi vagiti del rock sovietico e dal recupero di Kerouac e Ferlinghetti.

Nel 1973 Yuri Andropov, capo del Kgb e poi per un breve lasso di tempo segretario del Pcus, lo definì un «impenitente antisovietico» ma dopo qualche mese lo lasciò emigrare e lui raggiunse la tanto agognata Grande Mela. A New York condusse una vita da drop-out,  faticando ad ambientarsi: frequentò prima la sede del trotskista Socialist Workers’ Party e poi il giro dei emigrati russi. Qui pubblicò il suo primo romanzo Ja Edicka (uscito in Italia presso Frassinelli con il titolo Il poeta russo preferisce i grandi negri). Ma è in Francia, dove si trasferì nel 1980 che ebbe la sua consacrazione come scrittore, soprattutto nell’area della emigrazione russa post-bellica.

Avvicinatosi al partito comunista, scrisse per le sue riviste ma anche sul satirico e irriverente Idiot International. Sono di questo periodo alcuni dei suoi migliori romanzi che vestono sempre di più i panni dell’autografia. Dnevnk Neudacnika (pubblicato da Odradek nel 2004), la trilogia romantica sugli anni dell’infanzia in cui per la prima volta recupera l’epoca staliniana e Ukroshenie tigra v Parize, mai tradotto in italiano. Con il declinare della perestrojka (di cui Limonov dava un giudizio pesantemente negativo) rientrò in Russia per un breve periodo ma subito raggiunse la Jugoslavia per combattere nelle fila delle milizie serbe e dove si scoprì nazionalista panslavo e eurasiatista.

Rientrato in Russia, nel 1993, fondò assieme ad Alexander Dugin (che presto lo abbandonerà in disaccordo con gli elementi estetizzanti e giovanilistici assunti dall’organizzazione) e alla punk-star Egor Letov, il partito nazionalboscevico, un raggruppamento ribelle e russo-bruno (la falce e martello viene spesso proposta nera in campo bianco e sfondo rosso con evidenti rimandi alla grafica nazista). Furono anni di intensa attività politica per Limonov che nel 1998 si propose di iniziare una «lunga marcia» che dalle montagne del Kazachstan avrebbe dovuto raggiungere Mosca. Sull’Altaj assieme a un gruppo di adepti fondò una comunità armata rivoluzionaria presto scoperta dal Fsb.

Negli anni della galera che ne seguiranno si interessò di meditazione orientale ma soprattutto scrisse Drugaya Rossiya, un vero manifesto politico dove mescolò Julius Evola e Lenin, Drue la Rochelle e Gorky. Tentò anche una improbabile alleanza con Garri Kasparov, il famoso ex campione di scacchi, fondando un movimento anti-sistema a cui però non verrà data la possibilità di partecipare alle presidenziali del 2012.Gli ultimi anni furono per Limonov anni di disillusione politica e di ripiegamento.

Il suo partito era stato posto fuorilegge, si era sposato con l’attrice Ekaterina Volkova, la cui relazione fallimentare verrà raccontata nel sorprendente ritorno letterario di Zona industriale (pubblicato per i tipi della Sandro Teti). Riservato e timido in privato era esuberante e provocatorio in pubblico, ma mantenendo sempre uno stile distaccato. «I vostri figli saranno peggio di noi!», disse una volta a margine di un’intervista al manifesto (https://cms.ilmanifesto.it/limonov-russia-scapestrata/), ma lo diceva beffardo, il cinismo comunque non gli apparteneva.