Stephen Scher, con accanto Janie Woo Scher, è uno tra i più importanti collezionisti privati di medaglie e la sua raccolta personale spazia dal pieno Quattrocento al primo Novecento, coprendo tutte le aree geografiche di produzione: Germania, Francia, Russia, America, e soprattutto Italia. La raccolta è frutto di più di cinquant’anni di acquisti mirati sul mercato antiquario internazionale ed è percorsa dal fil rouge della qualità artistica (non da velleità ottocentesche di completamento di serie medaglistiche), infatti comprende quasi unicamente pezzi di primo livello, manufatti nei quali è possibile distinguere le abilità scultoree degli artisti leggendo le diverse profondità di rilievo che si innalzano dal campo piatto delle medaglie. Nel 2016 i collezionisti hanno deciso di fare dono alla Frick Collection di New York di un primo prezioso nucleo di medaglie, circa 450 pezzi (a cui si aggiungerà prossimamente un secondo nucleo di opere), che la galleria ha deciso di celebrare con una mostra, di 130 esemplari, e un convegno dedicati alla storia della medaglia, curati dallo stesso Stephen K. Scher e da Aimee NG, Associate Curator del museo.
La piccola mostra, dal titolo The pursuit of immortality Masterpieces from the Scher Collection of Portrait Medals, si snoda nelle due sale al piano interrato della galleria, per l’occasione tinte di rosso bordeaux e arredate con alte teche trasparenti. È accompagnata da una piccola pubblicazione (Frick Collection, New York, euro 16,50) che si presenta come una breve introduzione alla storia della medaglia, senza la volontà di approfondire alcun aspetto storico o iconografico dei pezzi esposti, tanto che mancano anche le schede delle opere, mentre vi sono raccolte solo le didascalie presenti in mostra.
Il visitatore è accolto, appena scesa la scala, dall’accostamento tra una medaglia in argento, opera di Jacques Jonghelinck e raffigurante Don Fernando Alvarez di Toledo, che è intelligentemente affiancata ad un busto bronzeo dello stesso Duca d’Alba, anch’esso modellato dallo scultore belga. Risulta evidente come la monumentalità del ritratto possa essere traslata dal busto alla medaglia, raccontando uno stretto rapporto tra due diverse forme artistiche celebrative. Peccato non aver esposto il busto di profilo, per poterlo confrontare meglio con il piccolo rilievo. Nella stessa saletta, l’accostamento apparentemente azzardato di un grande pezzo francese di primo Seicento (Pierre Jeannin di Guillaume Duprè, 1618), della Cecilia Gonzaga di Pisanello (1447) e di un Jules-Clement Chaplein del 1889 (Sarah Gustave Simon), mostra invece, con chiarezza, la continuità dell’impostazione del ritratto in medaglia durante i secoli. Il profilo netto degli effigiati si staglia sul campo circolare dei rilievi, perpetrando il medesimo modello dal Rinascimento all’epoca moderna.
Nella prima grande sala utili spiegazioni raccontano ai meno addetti ai lavori le tecniche-base della creazione di una medaglia (un video spiega la fusione a staffa a partire da un modello in cera) e al visitatore è concesso toccare una replica moderna di un pezzo di Pisanello, proprio per incentivare la percezione tattile dell’oggetto, aiutando a comprendere quale fosse la reale fruizione di opere che nascevano per essere toccate e rigirate tra le mani. Non lontane dal monitor due teche, a muro, continuano le spiegazioni tecniche: modelli in cera, in legno, pietra, gesso spiegano il lavoro preliminare degli artisti e ancora medaglie fuse, a confronto con pezzi coniati, mostrano, invece, la differenza nello spessore del rilievo tra le due tecniche. Chiude la sezione una straordinaria cera su vetro scuro, vagamente attribuita ad un artista milanese, ma probabilmente opera di Jacopo Nizzola da Trezzo: è avvicinata alla medaglia in bronzo della quale fu il modello, in un riuscitissimo abbinamento tra quanto veniva mostrato al committente e quale fosse, invece, il risultato finale.
Lungo le pareti della sala sono esposti, in coppia, lavori dello stesso autore: un disegno e una medaglia di Pisanello spiegano l’impronta pittorica dei rilievi dell’artista, mentre un bronzetto di Pier Jacopo Alari Bonacolsi, detto l’Antico, è affiancato alla medaglia per Antonia del Balzo e racconta del modus operandi di uno scultore sia sul bassorilievo che sulla statuetta a tuttotondo. Lo schema si ripropone con un bronzetto e una medaglia di Bertoldo di Giovanni, che portano il visitatore al centro della sala, attorniato da vetrine dove sono esposti nuclei di medaglie avvicinati per ragioni cronologiche o tematiche. Pisanello e De Pasti come fondatori della storia della medaglia (rappresentati da alcuni piombi particolarmente belli), pezzi italiani del XV secolo raffiguranti le diverse tipologie di committenti (signori, religiosi e intellettuali) o medaglie recanti rovesci allegorici, come l’enigmatico pezzo di Maffeo Olivieri per Altobello Averoldi.
La seconda sala traghetta il visitatore fuori dall’Italia e ben oltre i confini del XVI secolo. Straordinari pezzi francesi raccontano il Seicento d’oltralpe, come nel delicato dialogo tra Anna d’Austria e Luigi XIV modellato da Jean Warin, oppure, pezzi olandesi in argento del XVII secolo narrano storie di battaglie navali, dagli alti rilievi fusi da Wouter Muller a quelli quasi impercettibili, tanto sottili, di Juriaen Pool I. Anche nella seconda sala continuano gli accostamenti tra disegni e rilievi in bronzo, come nel caso del medaglista Jan Lutma il Vecchio, ritratto da Rembrandt, oppure dello scultore Antoine Coysevox, autore di un busto di Luigi XV bambino, raffigurato in medaglia da Thomas Bernard nel 1711. Le vetrine centrali vedono esposti pezzi inglesi, americani, scandinavi e russi, tra cui spicca una grande placca circolare, ben 26 centimetri di diametro, effigiante Leo Tolstoj e modellata da Leopold Sinayeff-Bernstein nel 1911: ormai è difficile poter parlare di ‘medaglia’.
In fondo alla sala alcune teche, non troppo riuscite, raccolgono pezzi incentrati sul tema della Pace o del Memento Mori, tra cui un calice in argento decorato da una serie di medaglie la cui faccia nascosta si può leggere solo dall’interno della coppa.
Lungo tutta la mostra è lodevole la modalità espositiva: i pezzi sono tutti ben visibili da entrambi i lati poiché posizionati in vetrine trasparenti ad altezza d’occhi e sono messe a disposizione dei visitatori lenti di ingrandimento per osservare i particolari più minuti. Interessanti alcuni espedienti espositivi come i perni girevoli che sorreggono la medaglia di Pisanello o quella dell’Antico: uno è meccanico e l’opera gira autonomamente, l’altro è manuale e consente al visitatore di ruotare la medaglia all’interno della sua teca.
La mostra alterna passaggi di estrema chiarezza, comprensibili anche al visitatore meno esperto, e momenti più complessi, nei quali anche lo studioso fatica a seguire i salti cronologici, geografici e tecnici. Nel complesso è sicuramente un’occasione riuscita per avvicinare il grande pubblico a un genere artistico, quello della medaglia, che negli ultimi anni sta tornando ad avere un posto di rilievo nel panorama degli studi e delle esposizioni. Si resta ora in attesa del catalogo generale dei pezzi della collezione Scher, ora di proprietà della Frick Collection.