Per molti rimane l’aliena che viaggiava nella metropolitana giapponese, come racconta una sua video istallazione degli anni ’90. Altri ricordano la sua enigmatica mutazione in sexy cyborg, oppure le sue grandi sculture «site specific» in Giappone o il suo progetto Wave Ufo alla Biennale di Venezia del 2005. Mariko Mori, una delle artiste giapponesi più affermate del panorama internazionale, torna a Venezia in una nuova veste: il festival Lo spirito della musica di Venezia, una nuova iniziativa promossa dal Teatro la Fenice dal 20 giugno a fine agosto, vede l’artista nipponica alle prese con scene e costumi per una nuova produzione di Madama Butterfly di Puccini. La prima il 21 giugno, per la regia dello spagnolo Àlex Rigola, con un innovativo uso delle tecnologie digitali e di stampa 3D. Accanto all’Otello di Verdi nel palazzo ducale ( con il binomio Chung -Micheli che ha inaugurato la stagione della Fenice) questo sarà lo spettacolo di punta del festival, e anche il debutto per Mariko Mori nel teatro lirico.
«È il mio primo lavoro per il palcoscenico – spiega – e mi ha impressionato lo studio e il rispetto di Puccini per la cultura giapponese. Tuttavia un’artista giapponese può certamente intervenire con un contributo specifico, che precisi il profilo artistico, e infatti vorrei sottolineare il valore della presenza della filosofia buddista, che permeava la cultura giapponese dell’epoca, soprattutto per l’aspetto centrale relativo alla reincarnazione. Dopo la morte c’è una nuova vita e poi un’altra ancora, seguendo il percorso del karma verso l’illuminazione, con continue reincarnazioni. Ho cercato di enfatizzare nei video e nella struttura scenografica questo concetto così importante, che naturalmente non si riscontra nell’opera pucciniana.

Quindi Madama Butterfly non muore?

Più che altro dopo che Madama Butterfly si uccide la sua vita non termina, bensì continua, e per questo motivo ho immaginato una scenografia basata sul nastro di Moebius, che simboleggia perfettamente il ciclo senza fine della vita. Si deve considerare poi la concezione del suicidio nella società giapponese dell’epoca, dove non era assolutamente ammesso per motivi di carattere personale. Quindi il suicidio non può originare soltanto dalla disperazione della protagonista; non è l’amore infelice di Cio Cio San per Pinkerton a determinare la sua scelta, ma il sacrificio per un’altra persona, per amore di suo figlio.

Come si inserisce questa esperienza nella suo percorso artistico?

Negli ultimi anni mi sto dedicando all’indagine del concerto di «oneness» (unità, concordia, nda). Anche in un modo globalizzato esistono infinite distanze sotto il profilo culturale, sociale, linguistico, con molteplici barriere e confini. Al tempo stesso appare sempre più evidente che siamo tutti esseri uguali, che vivono sullo stesso pianeta, e diventa urgente lo sviluppo di una comunicazione e una coscienza globale che parta da questo minimo denominatore comune, anche nel rapporto con la natura. Se guardiamo alla storia umana in senso più ampio, dalla preistoria, le differenze culturali appaiono meno significative: i confini, gli egoismi nazionali, diventano sovrastrutture. E così perfino nella drammaturgia di quest’opera mi sono impegnata a rimuovere le differenze culturali modificando il contesto.

In che modo?

Non c’è più un contrasto fra nordamericani e giapponesi quanto una diversa prospettiva, simbolica, che coinvolge gli abitanti del mondo e coloro che non appartengono al nostro mondo, in questo caso i giapponesi. Ho messo l’accento sulle due posizioni, quella di chi sfrutta e di chi viene sfruttato: un aspetto essenziale, perché tutti possiamo trovarci nell’una o nell’altra posizione, è un dato che si lega anche al mio interesse per lo sfruttamento irresponsabile del nostro pianeta.

Non c’è anche una riflessione sulla condizione femminile, fra oriente e occidente?

Sono convinta che gli uomini e le donne abbiano ruoli diversi, esattamente come il sole e la luna e non credo che possano evolversi al punto da essere interscambiabili, anche se già Mishima ha immaginato uno splendido personaggio che muore come uomo e rinasce come principessa. La posizione di Madama Butterfly è soprattutto quella di madre, e ho puntato a enfatizzarne il carattere. L’amore e il sacrificio per il figlio sono il tratto culturale che compone la bellezza di questo personaggio.

Continuerà a lavorare nel campo del teatro e dell’opera?

Ogni artista ha la possibilità e il dovere di offrire il suo contributo nel mondo, per questo ho creato la Faou Foundation, e l’opera lirica offre un potenziale artistico e persino didattico enorme per il mondo contemporaneo. Il mio contributo può evidenziare gli aspetti contemporanei dell’opera lirica al fine di rivolgersi a un numero più ampio possibile di persone. Alcune tradizioni possono invecchiare e vanno rivitalizzate, ma il portato di contenuti dell’opera lirica, come Madama Butterfly di Puccini, è incredibilmente contemporaneo, ci parla, ci aiuta a aprire la mente.

Potrebbe realizzare una operazione simile con il teatro Kabuki o il No, in Giappone?

Penso che potrei, specialmente nel teatro No, con i lavori del periodo Nara, intrisi di filosofia buddista. Mi piacerebbe avere questa possibilità, perché anche il teatro No potrebbe illuminare la giusta direzione per far progredire il nostro mondo.