Una dimostrazione che oggi la moda segue i fatti che succedono nella quotidianità anziché anticipare un futuro legato alle prospettive, com’era solita indicare insieme con altre espressioni creative, sta nella sua comunicazione pubblicitaria, che è la sua rappresentanza verso consumatori e addetti ai lavori e che, sostengono gli esperti, è passata dall’era della provocazione all’età della noia.
La pubblicità della moda, come quella dei prodotti di consumo di massa, usa sempre più un linguaggio comprensibile soprattutto agli aspiranti consumatori, perché quelli abituali per acquistare non si fanno più convincere da un’immagine, ma sono mossi da motivazioni personali e personalizzate.

Se fino a metà degli anni 2000, però, il linguaggio pubblicitario della moda cercava di sensibilizzare le attenzioni attraverso una provocazione costruita da un linguaggio misto di immagini e messaggi, dallo scoppio della crisi economica del 2008 in poi la pubblicità dei marchi più noti, ricchi e diffusi a livello planetario si è rifugiata in un linguaggio piatto che esprime un conservatorismo di maniera che livella tutto verso il basso, quasi a riflettere l’appiattimento che esprimono i Like sui social network.

A dolersene sono soprattutto i vecchi leoni dell’immagine, come il fotografo Bruce Weber, autore di campagne provocatorie, tra cui quelle di Calvin Klein, che negli Anni 80 e 90 hanno provocato un reale cambiamento dello stile di vita e dell’approccio verso il sesso delle generazioni giovani di quegli anni. O come il pubblicitario Trey Lards che sul quotidiano di moda americano Women’s Wear Daily lamenta: «La maggior parte dei manager delle aziende di moda pensa che oggi sia valido solo un approccio molto commerciale per cui pretendono che si mettano bene in vista una borsa o un vestito e credono che quell’immagine possa riflettere l’identità del brand». Facendo eco a un altro grande inventore di provocazioni come Oliviero Toscani: «Oggi le immagini sono ideate da marketing manager senza intelligenza o cultura».

A causa del marketing, quindi, e con il pretesto che tra carta stampata e mezzi digitali il messaggio pubblicitario raggiunge molte più sensibilità, oggi ci troviamo di fronte a una grande quantità di modelle sedute con borse in primo piano sulle gambe, abiti fotografati in ancor più rassicuranti contesti familiari, nessun riferimento sessuale allusivo o esplicito: il passaggio dal sapere scatenare desideri emotivi e aspirazionali alla rassicurazione è così compiuto. Il che, dicono gli autori dell’immagine dei decenni scorsi che gli attuali guru del marketing hanno rottamato, è la porta d’ingresso alla noia, che è la peggior nemica sia della moda sia dei consumi.

Ma se il mezzo è il messaggio, il messaggio della moda di oggi risulta privo di fantasia anche perché la moda stessa è rimasta isolata in una specie di bolla sospesa della creatività in cui la perdita di senso fa sì che basta mettere la propria firma su una T-shirt stampata per credersi Dio (r).
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