Come dromologo, Virilio non si è dato mai per vinto: la velocità possiede un fascino perverso che ha un rovescio fatale, costringendo l’essere umano a sottomettersi all’imprevisto. Lo stralcio dell’intervista che qui riproponiamo è il frutto di un incontro a Parigi, nel 2002, in occasione della mostra Ce qui arrive alla Fondation Cartier. «Non contesto il progresso, ma i suoi morti. Ci si può assicurare contro tutto ma non contro l’uomo stesso. Sono un filosofo e studio l’incidente perché è un prodotto del pensiero umano. Il XVII secolo è stata l’epoca dei matematici, il XVIII dei fisici, il XIX dei biologi, il XX quello della paura e del perfezionamento della distruzione, da Hiroshima in poi».

Architetto, urbanista ma anche artista del vetro…
Provengo da una famiglia molto povera. Mio padre era un italiano che aveva passato la frontiera clandestinamente ad Antibes, a 15 anni, per poi stabilirsi a Parigi e fare il carrozziere. Mia madre era cameriera. Dopo la guerra, ho cominciato a frequentare diversi artisti, l’arte mi seduceva ma io dovevo lavorare. Realizzavo poster per il cinema, dipingendoli a mano. Avevo 17 anni e guadagnavo un franco l’ora. Alcuni amici mi inserirono in un atelier di maestri vetrai, dove passavano artisti importanti, come Matisse e Braque. Giravo con gli schizzi di Braque sotto il braccio. Con Matisse non era facile lavorare. Per realizzare le vetrate mi obbligava a ritagliare dei cartoni e con la punta di diamante a incidere pezzi. Il contorno andava fatto direttamente con le forbici perché la sua tecnica era quella dei papier collé, un compito veramente difficile. Era impressionante: controllava tutto. Braque invece era meraviglioso, aveva uno spirito operaio, come Le Corbusier. Anch’io poi sono diventato architetto e la mia vita è andata avanti.

Lei analizza il concetto di incidente ma i suoi esempi rimandano a eventi volontari, disastri «consapevoli».
C’è una grande confusione tra due termini: attentato e incidente. Viviamo nell’era della neoguerra accidentale e del terrore di massa dove si cerca l’incidente maggiore, la catastrofe. Che non ha più nulla a che vedere con le guerre dichiarate di una volta, quelle fra stati. L’incidente oggi viene rivendicato come attentato – vedi il Wtc. Il terrorismo di massa è un destino dichiarato in un mondo dove non si combattono più guerre con gli eserciti. È uno stato di emergenza perenne. E l’ampiezza dell’incidente volontario è proporzionale alla vastità delle reazioni. Vivere questo nostro presente en vitesse, significa privilegiare l’incidente anche nel senso di ce qui arrive, ciò che accade. L’accelerazione portata dal progresso ha come conseguenza una perdita del controllo. Non stiamo parlando di fatalità ma di responsabilità. Come esistono i musei della guerra e della memoria, andrebbero eretti pure i musei delle catastrofi. L’immaginazione è più importante della conoscenza, diceva Einstein. Un secolo dopo, quell’immaginazione è necessaria per provocare l’«incidente maggiore», il disastro.

Si può estetizzare l’incidente?
L’incidente ha una dimensione soprattutto filosofica. Sono un aristotelico. La sostanza è assoluta e necessaria mentre l’accidente è contingente e relativo. Faccio un esempio: la montagna è la sostanza, il terremoto è ce qui arrive. Ma ciò che accade è anche la vita, il tempo che passa, i bruschi cambiamenti. Aristotele diceva: il tempo è l’incidente degli incidenti. In questo senso, da anni sono interessato anche al tema della velocità. L’iper-rapidità fa moltiplicare gli incidenti. Il crash non è estetico, cioè artistico o spettacolare. Posso parlare però di un’estetica della percezione perché rivela sempre la sostanza. Inventare le navi significa inventare il naufragio. Se nessun aereo fosse mai caduto, non ci sarebbe l’aereo stesso. Se non morissimo, non saremmo neanche esseri viventi. Quindi, l’incidente non è un fatto estetico ma una constatazione fenomenologica. Il disastro naturale rivela l’essenza del mondo: l’inondazione l’acqua, il terremoto la terra; quello tecnologico, l’industria e l’intelligenza. Basti vedere la genetica e la clonazione: presto avremo delle mostruosità. L’incidente cancella la medusa del progresso, non è un suo scacco.

Cosa gli conferisce un potere così devastante?
La raffinatezza della tecnologia. World Trade Center: migliaia di morti e due aerei soltanto. Pearl Harbor, duemila morti, con tutti gli armamenti possibili. L’attentato ha un rapporto colpo/efficacia altissimo.