Il nostro immaginario occidentale è affollato di eroi e, sordi al monito di Brecht («triste la terra che ha bisogno di eroi»), continuiamo a misurare la grandezza delle nazioni dal numero dei loro eroi. E sebbene per eroe intendiamo generalmente un individuo che rischia la propria vita in nome di un ideale condiviso dal suo popolo, facciamo una serie di eccezioni quando le sue azioni influenzano negativamente la nostra vita più o meno da vicino. È il caso, naturalmente, del terrorismo, ma è diventato anche il caso del flusso dei migranti, che siamo in grado di accettare nella misura in cui mettono a rischio la propria vita in nome di un ideale da noi riconosciuto.

È FORSE per questo motivo che i media raccontano con trasporto di un migrante solo nei casi in cui ci somiglia o ci ha portato beneficio: era laureato, aveva una pagella cucita addosso, ha salvato un «nostro» bambino, collaborava al miglioramento della nostra comunità. E nonostante la nostra civiltà sia nata attorno al primo migrante della storia, non riusciamo a pensare oggi a lui come a un eroe. Una figura oggi più spesso associata a chi resta in patria e si immola per essa, non a Enea, che abbandonò la sua patria in fiamme per diventare l’eroe che non era riuscito a essere per tutta l’Iliade. Questo è un tratto che condividiamo con tutti i paesi occidentali, e una serie americana sta mettendo in discussione il diagramma patriota-eroe. Scritta e diretta da Steve Conran, si intitola, appunto, Patriot (finora due stagioni prodotte, disponibili su Amazon Prime), anche se ha davvero poco a che vedere con omonime produzioni.

LA STRUTTURA di fondo è quella di un sogno, in cui azioni realistiche e paradossali si alternano senza soluzione di continuità e senza cambiamenti di stile che segnali l’ingresso di qualcosa di antinaturalistico (come fare un salto di una decina di metri e atterrare sulla testa perché è la parte meglio protetta del corpo, o mostrare che i genitali dei detective parigini sono tutti affetti dalla condizione di micropenia). La regia presenta una Parigi plumbea in pieno inverno attraverso gli occhi del protagonista colpito da un disturbo alla vista, creando così una versione frammentaria, caleidoscopica della realtà.
Il patriottismo di John Lakeman non ha niente di ovviamente eroico: le sue azioni sembrano essere dettate più dalle circostanze che da un piano – come sparare a un bambino che suona la fisarmonica per sviare i suoi inseguitori.Il suo patriottismo è quello di un antieroe che calpesta le regole, le leggi e la morale per raggiungere un obiettivo che, si spera, o si immagina, preserverà proprio quelle regole, quelle leggi e quella morale che sentiamo messe in pericolo.

VIENE da chiedersi quando riuscirà la nostra cultura finalmente a vedere degli eroi in coloro che sopravvivono nonostante le avversità, a celebrare quelle vite – non solo quelle di chi muore per la sua patria, ma di chi sopravvive nonostante la sua patria. Del resto, non è forse eroe chi riesce a mettere in salvo sé e i suoi cari sfidando la morte?