Quest’anno la mostra di Pesaro (21-26 giugno) ha scelto per la prima volta una donna, Liliana Cavani per l’evento speciale dedicato al cinema italiano. Merito di Cristiana Paternò ispiratrice e curatrice dell’evento e del direttore della mostra Pedro Armocida che da alcuni anni dedica particolare attenzione alla presenza femminile nel cinema.
Il dovuto omaggio a Liliana Cavani è stato un’ottima occasione per rivedere e per gli spettatori più giovani probabilmente vedere per la prima volta, tutti i suoi film passati in sala (cioè non i documentari e le opere televisive). A chiusura del Festival, sabato 26 giugno, è stata allestita una tavola rotonda nella quale è stato presentato il libro Liliana Cavani. Il cinema e i film edito da Marsilio, a cura di Cristiana Paternò e Pedro Armocida, affidato a diversi autori , un testo necessario vista la non abbondante disponibilità di studi e scritti organici sull’autrice. Specie a confronto con i fiumi di inchiostro, spesso avvelenato, corsi lungo gli epici scontri che hanno accompagnato l’uscita delle sue opere più importanti sempre controverse, a lungo e per banale convenzione, «scandalose». La stessa Liliana Cavani, presente all’incontro, ha ripercorso volentieri passaggi importanti della sua formazione e del suo modo di intendere il lavoro del cinema. A Cristiana Paternò che sottolineava la sua coerenza tematica e narrativa sempre ancorata in qualche modo alla storia e al presente rispondeva grata per il suo sguardo acuto ed esterno quindi capace di cogliere meglio continuità di interessi e modi narrativi nei suoi film. Aggiungeva che il cinema è il suo modo di giocare da adulta con i problemi che ci sono e con la gente che c’è, la storia c’è anche per chi non vuole vederla e tutto quel che accade ha conseguenze, se la storia è necessaria per stare al mondo il cinema è uno strumento di conoscenza potenziato dalle tecnologie che raggiunge molti e ha molte responsabilità. Deve essere libero per essere utile. Francesca Brignoli ha parlato di Francesco, protagonista anarchico ribelle di ben tre film che non si fa incasellare, in definizioni e chiese.

NON SOLO lo ritiene un fulcro di ispirazione ma quasi un alter ego della regista, campione, come lei, di coerenza e radicalità. Cavani ha replicato che il suo Francesco è un grande pensatore capace di agire, non uno che parla con gli uccelli e i lupi, Questo è il Francesco di Giotto. Peraltro Giotto è indubbiamente il primo ad aver realizzato un film su Francesco con le sequenze dipinte nella basilica di Assisi. Ma da queste immagini, pur amate, lei si è dovuta emancipare. Quello che ha capito tutto è Dante nel canto undicesimo del Paradiso. Per Dante i due grandi intellettuali sono Francesco e Maria, la donna che accompagna la vita di Cristo, la chiesa non ne tiene molto conto. Anche lei ne sapeva poco, ma ha studiato. Nel 1967 Angelo Guglielmi, mitico dirigente di Rai 2, doveva trovare qualcosa da mandare in onda per il 4 ottobre festa del santo «Io non ero interessata, poi trovai un libro, ancora all’indice, di Paul Sabatier, un medievista svizzero e convinsi Guglielmi dell’interesse di quel libro di formazione, da qui e dal 68 il primo Francesco».
Anche per il terzo Francesco le è stato utile il libro di uno studioso americano che parla moltissimo di Chiara e le ha permesso di ampliare la visione sociale della sua vicenda. Chiara apparteneva ad una ricca famiglia che abbandona per vivere con un gruppo di donne, lavorando e condividendo i guadagni con i più poveri. Non volevano essere mogli e madri ma neanche chiudersi in un monastero. Lei chiede al legato pontificio il privilegio della povertà e muore stringendo nelle mani il documento che le «concedeva» di essere povera e seguire la sua strada. Le Clarisse che ha poi conosciuto e con cui ha girato un documentario non conoscevano questa storia. Fraternità per Chiara e Francesco è la parola chiave e significa parentela tra tutti gli esseri umani che sono fatti della stessa materia. Poi è anche la parola che i rivoluzionari francesi mettevano insieme a eguaglianza e libertà. Come è andata? Pensiamo a quello che è successo durante la secondaguerra mondiale, alle bombe «sperimentali» su Hiroshima e Nagasaki!

PAOLA CASELLA, giustamente, individua come pregio costante della regista la capacità rendere appassionante sullo schermo la complessità di uomini e donne. Cavani conferisce dignità ad entrambi senza rifuggire dalle ambiguità e oscurità dei loro comportamenti pubblici o privatissimi che siano. Alla domanda diretta sul perché di tanti problemi con la censura e i tanti film sequestrati e poi dissequestrati la regista risponde con chiarezza: «Perché sono una persona libera di sesso femminile».
Italo Moscati estimatore da subito della regista e suo collaboratore in molteplici imprese, a proposito di figure femminili cita il caso del film su Simone Weill che non si riuscì a fare. Però la sceneggiatura scritta da lui e dalla Cavani fu un notevole successo editoriale «La lesse un sacco di gente che avrebbe certamente voluto vedere il film». Anche Giacomo Ravesi ripercorre gli anni avventurosi dei documentari prodotti dalla televisione che già presentavano la forma libera di documentazione in soggettiva molto approfondita con uso innovativo della musica e netta tendenza alla sperimentazione stilistica, incontravano molti ostacoli in Rai. Cavani riconosce l’importanza di quegli anni di formazione. «Io ero laureata in Lettere Antiche, conoscevo benissimo la guerra del Peloponneso del 500 a.c. Ma poco della seconda guerra mondiale e quasi niente della prima da cui invece è cominciato tutto».
Nei cinque anni di apprendistato ha affrontato temi come il nazismo, la resistenza ma anche la speculazione edilizia,i baraccati, la burocrazia, il consumismo. Molte cose girate ma spesso non messe in onda o molto tagliate, Per La casa in Italia quattro puntate da 50 minuti l’una, l’ultima venne tagliata di 25 minuti, ridotta a metà. Importante il primo viaggio al sud, grande bellezza che Cavani non conosceva ma enormi problemi. Racconta dell’intervista a un mafioso che aveva costruito quattordici villaggi di case popolari che nessuno abitava perché prive di servizi e strade di collegamento. Aveva provato a chiedere chi avesse finanziato il tutto. Incredibilmente il mafioso aveva risposto: il Cardinal Ruffini e il Banco di Sicila «dico i nomi tanto non vi manderanno mai n onda» e cosi fu.
In viaggio verso Matera, con un’auto e un camioncino con le attrezzature, sono avvertiti da uno dei famosi primi funzionari del secondo canale, Sergio Silva, «Fate attenzione che la polizia vi segue» Cavani: «E che ci posso fare?» Silva «Beh tienne conto». Altre risposte sulla censura. Per Il portiere di notte le si contesta di aver girato una scena di sesso con la donna sopra all’uomo «Capita». Per Giordano Bruno un urlo troppo lungo nella scena dell’esecuzione «Ma muore sul rogo!..» però taglia qualche secondo. Aggiungo a memoria. Alla richiesta di lieto fine per I cannibali che la Paramount voleva distribuire in America «Non posso: è una tragedia greca».

DIETRO L’EVIDENTE ironia delle risposte c’è un discorso serissimo sulla censura che, secondo Cavani nei paesi autoritari è una faccenda semplice e ben comprensibile ma in un paese democratico è una pratica difficilissima perché oltre a rischiare continuamente il ridicolo serve solo a nascondere e non affrontare la realtà.
È stata presentata anche la prima mondiale Al di là del bene e del male nella versione integrale e restaurata da CSC – Cineteca Nazionale e Istituto Luce Cinecittà con la supervisione della regista, film di formazione per una generazione di allora giovani donne che nel 77, cercavano le radici del loro desiderio di superamento degli archetipi familiari e relazionali convinte che nessun cambiamento potesse avveni re se non partendo dal cambiare se stessi, senza dubbio un film in anticipo sui tempi e quanto mai attuale.

* codirettrice del Laboratorio Immagine donna e del festival Cinema e donne di Firenze