In ogni famiglia c’è una pecora nera: polvere da mettere sotto al tappeto per i parenti più vicini, fonte di battutine e risatelle per quelli più lontani. Ma se -come nel nostro caso- la pecora nera finisce in un manicomio criminale per aver ucciso, fatto a pezzi e ficcato in una valigia di cartone un nano, allora l’argomento diventa tabù per tutti. Da quando poi i manicomi criminali sono stati chiusi e la custodia di questi soggetti dai secondini è passata agli strizzacervelli, le conseguenze più imprevedibili investono parimenti parenti vicini e lontani. Alla notizia che sua sorella Lilia sta per tornare libera, ad esempio, la reazione di Oreste è un bell’attacco di colite e quella di sua moglie Flavia una crisi isterica coi fiocchi: non si azzardi ad avvicinarsi a casa nostra! Lilia è pur sempre mia sorella, se mi chiama per un aiuto che faccio? Aiutarla in cosa? a pigiare in una valigia i pezzi di qualche altro nano? Non per difenderla… ma quello era uno stupratore seriale. E allora ha fatto bene!? No, no… ma dopo tanti anni avrà pure il diritto di rifarsi una vita.

Ad avvisare Oreste che il Tribunale è orientato per il rilascio di sua sorella è il dottor Damiani, direttore sanitario della Residenza per l’Esecuzione Misure di Sicurezza che di Lilia si occupa personalmente da cinque anni. Uno stimato psichiatra basagliano questo Damiani, che considera ogni dismissione un successo da festeggiare. Salvo che per Lilia va superato un ultimo, piccolo ostacolo. Per questo ha telefonato a suo fratello. Oreste quindi, butta giù due Prozac, si mette al volante alquanto su di giri e in meno di un’ora raggiunge la R.E.M.S. che pur assediata dalla famigerata Terra dei Fuochi, si presenta pulita ed efficiente. Supera i controlli della vigilanza privata e viene accompagnato dal direttore. Damiani, un tipo pratico, va dritto al punto: io non ho dubbi che Lilia sia guarita e di ciò ho convinto i giudici, ma come la mando via? sua sorella non ha un tetto né mezzi per sostenersi…

Il boss del quartiere Pendino don Gaetano Carone detto Gatto Mammone, tiene pure una ridente attività di pompe funebri ma per fare i milioni traffica in cocaina. Business da difendere dalla concorrenza con le unghie e con i denti, non a caso nel tempo ha dovuto accoltellare, sparare, strangolare e sciogliere dentro all’acido un bel numero di giovani competitors. E senza mai lasciare in giro tracce che potessero incriminarlo tanto da guadagnarsi il suddetto scontranome. Se alla fine ci lascia lo zampino è solo grazie a una piccola impronta che la scientifica ritrova su una tanica di benzina. Ok, al momento è al 41 bis ma ha pure lasciato 82 milioni ai suoi due figli che guarda un po’ fanno giusto 41 per uno! Milioni che permettono a Tino e Lino di mollare il narcotraffico per dedicarsi al riciclaggio e alla sana attività di schiattamorti. Nelle more che periti e avvocati ottengano per papà l’infermità mentale, facendolo poi trasferire in una R.E.M.S.

Magari diretta da un basagliano.

Oreste che di Lilia ricordava con timore gli occhi da pazza e le mascelle sempre serrate, si ritrova davanti una dolce persona dai tratti rilassati. Vinti pudore e timidezza i fratelli si abbracciano, piangono insieme. Poi Lilia si asciuga gli occhi ed entra nella sua stanza, dove mette con cura le sue cose in una valigia di cartone… Oreste che sbircia dal corridoio ha un brivido, quando alle sue spalle si materializza una vecchia infermiera dagli occhi azzurri. Nervoso? No è che, insomma… la valigia di cartone. Non ci casco, dimentichi, ora è tutt’altra persona. Sì… ne sono certo, infatti me la porto a casa. Ah, viene a stare da lei? allora tenga. Cosa? Resperidone gocce. Il dottor Damiani non me ha parlato. Lui è contro i neurolettici ma sua sorella ne ha assoluto bisogno una volta ogni 28 giorni. Vuol dire… a ogni ciclo mestruale? A ogni luna piena. Non capisco. Lilia ne subisce, come dire? un fortissimo influsso negativo, chiaramente è solo autosuggestione, ma se Damiani l’avesse vista nello stato in cui l’ho vista io sarebbe senz’altro d’accordo… e gli infila il flaconcino in una tasca: mi raccomando sempre e solo la notte prima della luna piena, due gocce di numero, mai di più.

Il miracolo di far cambiare idea a Flavia l’ha fatto Maria, la loro unica figlia, una ragazzina buona e altruista che da quando papà le ha raccontato di questa sua sorella rinchiusa che ora esce e non ha dove dormire e come mantenersi, ha implorato la mamma giorno e notte perché la povera zia Lilia possa fermarsi da loro almeno un poco. Ma poi, per Flavia è stato determinante rivederla così cambiata: nulla della vecchia inquietante Lilia sembra sopravvivere in questa figura ascetica con lo sguardo grato e stupito che avanza nel vialetto col suo trolley nuovo (a scanso di brividi Oreste le ha sostituito la valigia di cartone). Sia come sia quando Lilia va a coricarsi, Flavia vuole che suo marito la rassicuri ulteriormente, Tesoro diamole il tempo di rifiatare, solo qualche giorno. E spegne la luce. Ma poi nel buio Oreste spalanca gli occhi e pensa: maaa… quand’è la luna piena? controlla, capperi dopodomani! e dalla giacca appesa all’ingresso recupera il flaconcino di Resperidone. Una lama di luce si allarga su Lilia che dorme come un pupo; Oreste entra felpato e mette due gocce del potente neurolettico nel bicchier d’acqua che sta sul comodino. Sperando lo beva. E torna a dormire. Un’ora dopo una lama di luce si riallarga su Lilia che dorme sempre come un pupo. Stavolta è Flavia che ha mangiato la foglia e controllando sul bugiardino del Resperidone ha letto la parola schizofrenia… meglio abbondare pensa. Sperando se le beva.

Alle sette Lilia si sveglia e beve. Alle sette e cinque perde i sensi. Alle sette e trentacinque un’ambulanza porta la povera donna al Fatebenesorelle dove arriva in coma irreversibile. Alle undici muore.

Vi risparmio la cronaca della resa dei conti in famiglia con Oreste che accusa Flavia di aver ucciso sua sorella, Flavia che accusa Oreste di averle nascosto la schizofrenia di Lilia e Maria che smette di parlare. E ancora oggi con suoi genitori non ci parla. Quel che invece ora mi preme dirvi è che al Fatebenesorelle di Napoli (e non solo), vige un feroce racket del caro estinto che funziona così: dato che ogni quartiere ha il suo clan e che ogni clan ha la sua impresa di pompe funebri, chi osa chiamare il molto più economico servizio comunale si ritrova minimo minimo quattro gomme a terra. E se insiste con la mancanza di rispetto pure una bella mazziata. Esattamente quello che succede a Oreste quando la ditta di Lino e Tino Carone gli si presenta per imporre il funerale e lui sulle prime rifiuta. Ma poi pesto, vinto e impaurito, Oreste si piega al clan e quella stessa notte Lilia finisce nella camera ardente delle Premiate Pompe Funebri Carone&figli. Dove passerà la notte nella sua bara aperta. E da quella posizione… una lama di luce che penetra dalla finestra si allarga su di lei: le nuvole nere si aprono e in cielo giganteggia un’accecante luna piena: Lilia apre un occhio. Poi l’altro. Il suo corpo s’inturgidisce, e i peli? sulle braccia, sul volto, e le unghie i denti… erano così anche prima? Ma che è ‘sto rumore? s’allarma Lino. Oh Gesù Gesù, sgrana gli occhi Tino: la porta si spalanca di botto e un essere mostruoso mezzo lupo mezzo Lilia si avventa sui camorristi. E quando avrà finito con loro sarà sua cura procurarsi un paio di trolley.

Come quello che le ha regalato il fratello.

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