Dopo mesi di trattative estenuanti, scandite prima dagli psicodrammi nel M5s ligure – dove si è consumata una scissione, con la grillina della prima ora Alice Salvatore che se n’è andata fondando il suo personale movimento – e poi da quelli interni al Pd, frantumato tra diverse mozioni e a più riprese vicino a far saltare il banco dell’alleanza, mercoledì sera, dalla finestra spalancata di un palazzo di via Maragliano, dove si trova la sede genovese dei Dem, è uscito il suono di un applauso, stanco ma liberatorio.

La riunione di coalizione, messa alla prova dalla tensione degli ultimi giorni e dal malfunzionamento dell’aria condizionata, aveva appena dato il via libera all’investitura di Ferruccio Sansa come candidato presidente alle prossime elezioni regionali. Una decisione che, a poco più di due mesi dalla chiamata alle urne, riavvolge il nastro al 9 giugno quando un vertice tra i partiti locali e nazionali aveva già, di fatto, incoronato il giornalista del Fatto Quotidiano (ma precedentemente anche Messaggero, Repubblica, SecoloXIX, La Stampa). Che non è nuovo ad accostamenti elettorali: in passato il suo nome era circolato come potenziale candidato sindaco di Genova sia per il centrosinistra sia per il M5s.

Oltre un mese fa il vicesegretario del Pd Andrea Orlando e il reggente dei pentastellati Vito Crimi, insieme alla sinistra di Campo progressista, avevano stabilito che sì, la sua figura avrebbe potuto garantire il programma condiviso dai partiti e incarnare il primo esperimento a livello locale dell’alleanza al governo. «Un’alleanza sulla base di un progetto politico e non di una contingenza», le parole del segretario regionale del Pd Simone Farello. Sulla falsa riga del governo Conte? Quasi, o perfettamente, se si vuole immaginare il futuro. Perché tra gli applausi echeggiati in via Maragliano non si è udito quello di Italia Viva.

«Renzi aveva posto una sola condizione, che il candidato non fosse Sansa» dice Raffaella Paita, deputata di IV e candidata nel 2015 contro Toti per il Pd. Sostenuta dall’ex presidente Burlando, la sua sconfitta fu dovuta anche e soprattutto alla presenza di un candidato alternativo della sinistra, l’attuale deputato di LeU Luca Pastorino (sostenitore di Sansa). «Ho fatto di tutto perché si mantenesse l’unità, io che in passato ho subìto gli effetti di una divisione – continua – ma con la visione di Sansa c’è una distanza culturale incolmabile su alcuni aspetti del programma, a partire dal nostro sì alla gronda, quindi ci accingiamo a fare un percorso autonomo».

Italia Viva in Liguria presenterà un proprio nome, l’ex preside della Facoltà di Ingegneria Aristide Massardo, che a lungo ha conteso a Ferruccio Sansa il ruolo di possibile candidato, oppure l’ex assessora di centrodestra con la giunta Bucci in Comune a Genova, Elisa Serafini, liberale e riformista, prima schierata con Calenda e ora inquadrata nella cornice renziana.

L’impressione è che quindi Sansa, impegnato in queste ore in un ottovolante di telefonate, sia destinato a fallire nel suo primo compito a casa, quello di persuadere gli scettici, Italia Viva ma anche i pizzarottiani di Italia in Comune, Centro democratico e altre sigle della galassia centrista. Nel frattempo i partiti che «ci stanno» sono al lavoro per mettere a punto una squadra operativa, un ufficio stampa, i primi appuntamenti di campagna tenendo conto dei limiti legati alla situazione Covid, ma anche le prime ipotesi di «listino», sempre che il premio di maggioranza non sia cancellato (la commissione regionale sul disegno di legge regionale si riunisce proprio oggi e oltre all’introduzione delle preferenze di genere potrebbe lavorare all’abolizione del listino).

Sullo sfondo le reazioni delle basi di M5s, Pd e sinistra sono diversamente scomposte e soprattutto fra i Dem si respira il malumore di chi avrebbe preferito un candidato più ortodosso. Perché Ferruccio Sansa, figlio di Adriano, sindaco indipendente di Genova fino al 1997 quando la sinistra, che lo sosteneva, decise di non ricandidarlo, ha in passato attaccato più volte il partito per quelle che considerava politiche cementificatrici e affariste. Adesso invita a mettere da parte i contrasti e a partire subito per recuperare tempo e terreno su Toti. «Dietro la politica del make up e dei tagli del nastro c’è una Liguria che sta male, dobbiamo pensare ai problemi concreti, a partire dal lavoro», dice il neocandidato.

Una cosa di sinistra, tanto per cominciare, da parte di colui che, nonostante i sondaggi, secondo i rumors che circolano nel centrodestra, sarebbe fra i pochi a poter far innervosire l’attuale governatore. «Condoglianze a M5s e Pd, hanno trovato l’unico candidato agli antipodi della Liguria che vorrei», il suo primo commento sull’avversario.