Si conclude la tanto vituperata, almeno in rete, trilogia di Final Fantasy XIII. Tuttavia, se si esclude il coro di presunti fan, nostalgici di antiche e meravigliose fantasie finali a tal punto di non godere della raffinatezza delle avventure di Lightning, le vendite hanno dimostrato che il pubblico le ha gradite, così come i molti appassionati della storica saga che hanno saputo cogliere la poesia tragica di una storia che rimanda, forse inconsapevolmente ma in maniera efficace, al romanticismo tedesco di Schiller e Holderlin e la profondità di una giocabilità che miscela ad arte il combattimento in tempo reale con quello a turni. Inoltre i personaggi di questa trilogia sono tra i più affascinanti e carismatici di tutti i Final Fantasy, soprattutto Lightning che nel terzo episodio, appena uscito per Playstation 3 e XBox 360, torna a essere protagonista.

Lightning Returns si svolge secoli dopo lo struggente finale di Final Fantasy XIII-2: il mondo che Serah, la dolce sorella di Lightning, ha cercato di salvare fino al sacrificio definitivo, si è fermato in una sfiancata bolla temporale. La gente non invecchia e non nascono bambini, sebbene la morte continui a mietere vittime, rendendo il mondo un luogo tetro e sconsolato. Ma l’apocalisse è imminente e il gioco inizia quando mancano solo tredici giorni all’evento che estinguerà l’ultima umanità, mentre un caos strisciante si nutre dei superstiti assimilandoli nel suo nero nulla. Lightning è in missione per conto di un dio; il suo obbiettivo è quello di salvare più anime possibile per traghettarle in un nuovo mondo che sorgerà dalle ceneri di quello vecchio. Ma questo è solo il preludio di quella che si trasformerà in un’avventura che riscrive in maniera videoludica i momenti più anti-divini di Friedrich Nietzsche, un manifesto elettronico sull’indipendenza dal destino e da dio, sulla grandezza dell’essere umano, sul libero arbitrio e sulla volontà di potenza che diviene volontà di esistere quando infrange le catene d’oro con cui gli dei rendono schiavi i mortali. Ligthning Returns -dopo la ribellione contro un olimpico fato perentorio del primo episodio e la ricerca del tempo perduto del secondo- è un crepuscolo degli dei in cui Brunilde-Lightning non ha bisogno del suo olocausto per redimere il mondo da una disumana volontà divina.

Il tempo è tiranno nel videogame di Square-Enix, poiché scorre davvero, avvicinandoci alla fine come è già successo in Legend of Zelda Majora’s Mask. Quindi possiamo dimenticarci di bighellonare attraverso le aree di gioco per ammirare i panorami e i dettagli. Dobbiamo correre, sempre. Ed è un bene perché gli ambienti disegnati per Lightning Returns non sono tra i più ispirati della trilogia e, salvo rare eccezioni, sono scarni e ripetitivi, funzionali al cronometro che scandisce l’avvento dell’ultimo giorno.

Malgrado la fretta o forse proprio per questa, la potenza drammatica della storia emerge in maniera sempre più drammatica costruendo un intreccio fatto di piccole e grandi storie che scivolano dal grottesco alla tragedia, dall’epica all’elegia, dal comico al patetico. La trama, che motiva il giocatore a superare ogni difficoltà (ce ne sono numerose, soprattutto alla fine, se non si gioca in modalità facile) è supportata da un sistema di combattimento veloce, strategico e coinvolgente che fa leva sui cambi di abito della bellissima guerriera disegnata da Testuya Nomura. Ogni abito garantisce poteri diversi da amministrare saggiamente in battaglia e ognuno di questi possiede un fascino “sartoriale” degno del lavoro di uno stilista geniale. Oltre che per combattere conviene provare ogni completo solo per vederlo indossato da Lightning in un tripudio di voyeurismo.

La generale piattezza degli scenari favorisce l’idea che sia proprio Lightning il centro di tutta la bellezza del gioco, algida stella nel cielo tenebroso di una sfilata di moda sulla passerella apocalittica alla fine mondo.