Il photo-editor John G. Morris (classe 1916), in un suo libro di memorie uscito qualche anno fa, narrava che il nome “Magnum” col quale fu battezzata l’agenzia fotogiornalistica in casa dei Vandivert al Greenwich Village di New York si doveva allo champagne di marca Magnum che in quell’occasione scorreva a fiumi. Era il 22 maggio 1947 e quei pionieri della Magnum Photos, tutti grandi bevitori, vivevano in un prolungato clima di euforia dopo la fine della guerra che li aveva visti al seguito degli eserciti alleati sui vari fronti europei. Quei fronti che avevano già fatto la fortuna editoriale di una rivista nata un decennio prima di Magnum. Con le fotografie sparate a tutta pagina, Life, è del settimanale di Henry R. Luce che parliamo, aveva portato gli accadimenti della Seconda guerra mondiale nelle case degli americani. “A Life venivano prima le immagini, non le parole”, ricorderà John Morris. E’ grazie al contenuto iconografico di Life, che vendeva milioni di copie a settimana, che si rafforza la coscienza nazionale del popolo Usa in tempo di guerra. Alle due testate Life e Magnum, e ai 70 anni di vita della seconda, è dedicata presso il Museo del violino di Cremona la mostra “Life – Magnum. Il fotogiornalismo che ha fatto la storia” (fino all’11 giugno), organizzata da Magnum Photos. Altre due mostre, per il settantennio, sono a Torino (Camera-Centro italiano per la fotografia) e a Brescia (Brescia photo festival 2017).
Il rapporto di Life con Magnum parte da lontano, ancor prima che il progetto dell’agenzia si concretizzasse. Il moderno fotogiornalismo aveva trovato terreno fertile, per affermarsi, nel periodo compreso fra le due guerre mondiali. Ciò era dovuto sia allo sviluppo tecnico delle fotocamere, con apparecchi maneggevoli di piccolo formato come le tascabili tedesche della Leica, sia al diffondersi delle riviste illustrate a grossa tiratura. Life, ultima nata (nel 1936) delle testate del gruppo del magnate Henry Luce che già editava Time, ebbe subito una diffusione mai registrata fino ad allora: al compimento del primo anno di vita stampava cinque milioni di copie. E non era ancora tutto: la grande stagione del settimanale americano sarebbe arrivata con le foto del conflitto in Africa e in Europa e degli scontri aeronavali nello scacchiere del Pacifico. La copertura di quei teatri di guerra era stata affidata a fotoreporter come Robert Capa ed Eugene Smith che con le loro istantanee lasceranno un segno tangibile sull’immaginario dell’opinione pubblica. Successivamente Capa e altri fotografi di Life ideeranno Magnum Photos, l’agenzia che attraverso la formula del lavoro cooperativistico rivoluzionerà il settore del fotogiornalismo.
In poche anni Life aveva esteso la propria autorevolezza. Da settimanale internazionale diffuso nelle principali capitali, dedicava ampi servizi ai fatti del mondo. Per la presenza dello stato del Vaticano e del più grande partito comunista (dopo quello sovietico), l’Italia calamitava particolare attenzione da parte di Life. La moglie del suo editore peraltro, Claire Boothe Luce, nominata nel 1953 dal presidente Dwight Eisenhower al rango di ambasciatrice, svolse per circa quattro anni l’incarico diplomatico a Roma. Più volte personaggi di primo piano e fatti salienti del nostro paese campeggiarono sulle prestigiose copertine. I reportage in Estremo Oriente per documentare la guerra del Vietnam ne rappresentarono il canto del cigno: l’utilizzo sempre più massiccio dei mezzi tecnologici che portavano le immagini repentinamente in ogni angolo del mondo decretarono nel 1972 la fine della rivista Life, per la quale la sola cosa che davvero contava era stata la fotografia.
L’idea di dare vita a una struttura cooperativistica che tutelasse il diritto d’autore e sancisse l’autonomia del fotogiornalista dai profitti delle agenzie, cominciò a balenare nella mente di Bob Capa mentre si trovava al seguito delle armate alleate che combattevano in Europa contro il nazifascismo. Ne discuteva con il collega George Rodger, che aveva lavorato anch’egli per Life. Il progetto, congelato per gli avvenimenti contingenti, fu ripreso quando cessarono le ostilità. Capa coinvolse due vecchi amici, David “Chim” Seymour e Henri Cartier-Bresson, già con lui in Spagna nel 1936 allo scoppio della guerra civile. Oltre a loro, dell’impresa facevano parte Rita e Bill Vandivert (quest’ultimo fotografo di Life) e Maria Eisner. Un aspetto singolare contraddistingueva Magnum, ossia la variegata nazionalità del suo nucleo storico: gli unici nati su suolo americano erano i coniugi Vandivert, nel cui studio era stata approntata la sede operativa di New York; Capa era ungherese, Seymour polacco, Cartier-Bresson francese, Rodger inglese, mentre la Eisner pur se di nazionalità statunitense era nata in Italia (a Milano). Quest’ultima, in principio dirigeva la sede europea di Magnum presso la propria abitazione di Parigi. Un italiano che spesso s’incontrava nella sede parigina dei primi anni era l’editore-giornalista Alberto Mondadori, molto amico di “Chim” Seymour, che aveva concepito il settimanale “Epoca” tenendo a modello l’irraggiungibile Life. I rapporti fra Life e Magnum continueranno a intrecciarsi. Lo stesso John Morris, già responsabile dell’ufficio Life a Londra durante i preparativi dello sbarco in Francia, coprirà il ruolo di direttore esecutivo di Magnum negli anni cinquanta.
La mostra di Cremona, oltre ad esporre le edizioni originali di Life, approfondisce alcuni reportage su eventi e personaggi del Ventesimo secolo realizzati da fotografi di Magnum e pubblicati dalla rivista. Werner Bischof, svizzero, tra i primissimi ad associarsi al gruppo originario di Magnum e presto scomparso tragicamente, firma un servizio nel 1951 sulla carestia del Bihar in India mentre nell’anno successivo si reca in Corea dove infuria il conflitto fra i due stati, del Nord e del Sud, divisi dal 38° parallelo. Bruno Barbey, inviato in Vietnam, è testimone della guerra che ormai volge alla fine. Le sue foto saranno fra le ultime a essere pubblicate da Life poco prima della sua chiusura. Passando ai personaggi, il lavoro di Philippe Halsman è incentrato sui ritratti dell’attrice Marylin Monroe, dell’artista Salvador Dalì e del pugile Mohamed Alì già Cassius Clay. Ancora personaggi del cinema per la pellicola “Gli spostati” di John Huston (con la Monroe, Clark Gable e Montgomery Clift). Magnum inviò un folto gruppo di associati, in veste di fotografi di scena, per seguirne le fasi realizzative. Poi Dennis Stock, tramandato come il fotografo ufficiale del divo James Dean. Stock eseguiva primi piani dell’attore non solo sulle scene, ma soprattutto nello svolgersi della quotidianità. Celebre la passeggiata sotto la pioggia di Dean a Times Square con le mani affondate nelle tasche del cappotto e la sigaretta accesa fra le labbra. La foto è stata selezionata per la locandina della mostra. Infine la riproposizione di reportage di due giganti del fotogiornalismo: Cartier-Bresson e Capa. Del primo, il viaggio in Unione Sovietica del 1954; del secondo la guerra civile spagnola, le fasi della prima ondata dello sbarco (in Normandia) più famoso di tutte le guerre, il conflitto in Indocina nel quale Bob incontrò la morte sopra una mina nel 1954.