«Il dubbio», scrive la traduttrice Francesca Lazzarato nella sua illuminante postfazione a Dormire al sole, da lei tradotto per Sur (pp. 254, euro  16.50), «è il più efficiente motore del fantastico». Di chiara ispirazione borgesiana, questa considerazione è del tutto necessaria per chi voglia addentrarsi nella lettura del romanzo: proprio nelle diverse declinazioni del dubbio, infatti, è possibile rintracciare i segni profondi di quel processo di «liberazione della scrittura» che trova in questa opera del 1973 un momento fondamentale dell’evoluzione artistica di Adolfo Bioy Casares.

Trasformazioni, esperimenti pseudo-scientifici sulla mente umana, cani che assumono la personalità dei personaggi, e poi gelosie, l’impossibilità di amare, la vita sempre uguale in un microcosmo chiuso come il pasaje a Buenos Aires; tutto questo e molto di più è Dormire al sole. Nei dialoghi, spesso improbabili, si strutturano l’ambiente e i personaggi, e una comoda verosimiglianza è destinata ad attrarci in una storia che in un primo momento è di quieta, rassicurante quotidianità. Presto però il lettore si renderà conto di essere sprofondato in un incubo e che le stesse confortanti presenze che lo tranquillizzavano contribuiscono invece a confonderlo e costringerlo in un’ossessiva, persecutoria vicenda fantastica.

Nella coerenza di un lavoro che prende in considerazione ampi archi temporali, e i processi di continuità e discontinuità che li contraddistinguono, Francesca Lazzarato – dopo avere curato nel 2017 L’invenzione di Morel – traduce, e poi racconta al lettore italiano nella sua postfazione un’opera la cui relativa dimenticanza fino ad oggi risulta davvero misteriosa. Questi due momenti della produzione di Bioy Casares, L’invenzione di Morel e Dormire al sole, sembrano restituire un’evoluzione fondamentale nella concezione del fantastico, e non solo, da parte dell’autore. Condensate nelle due prefazioni (la prima del 1940, la seconda del 1965) alla Antologia della Letteratura Fantastica, concepita, compilata e curata con la moglie Silvina Ocampo e Jorge Luis Borges nel 1940, le considerazioni sul genere fantastico preludono a una concezione della letteratura che, nel caso di Bioy Casares, subisce un vero e proprio percorso di vivifica liberazione. Da cosa doveva liberarsi? Dall’ombra enorme e opprimente dell’amico, mentore e confidente Borges.

Già L’invenzione di Morel era, in maniera camuffata e volutamente ambigua, una trasgressione intima dei rigidi confini del nuovo fantastico concepito e definito con Borges; era già scrittura dell’inquietudine, travestita da storia fantastica, da riflessione sulle dinamiche tra realtà e finzione, sulla riproducibilità delle immagini all’infinito. Bioy operava così un’elegante disobbedienza nei confronti del suo compagno di avventure intellettuali. Apparentemente realizzava, nella trama, nei personaggi, nelle immagini dell’isola e della macchina misteriosa, nella persecuzione del fuggiasco, quelle storie della immaginazione ragionata tanto care a Borges.

A disagio nel fantastico
In realtà trasgrediva quelle istanze dal momento che l’invenzione di Morel restituiva la scrittura dell’inquietudine più umana e profondamente psicologica che si possa immaginare. «Su questa parziale abiura delle opinioni espresse in gioventù si basa la lunga ricerca che porterà l’autore verso un nuovo fantastico, non antitetico al realismo, ma inteso piuttosto come sua essenza profonda, e in quanto tale inclusivo sia dell’analisi psicologica che di una scrittura formalmente realista», scrive Lazzarato nella sua postfazione; e continua «già pochi anni dopo la pubblicazione del suo secondo romanzo, Piano di evasione (1945), ambientato come L’invenzione di Morel su un’isola remota, Bioy sembra manifestare un crescente disagio di fronte alla narrazione fantastica centrata su «invenzioni rigorose, verosimili, fatte a forza di sintassi».
Non è più tempo per Bioy di imaginación razondada, intesa come composizione di fantasie metafisiche regolate da un ordine rigoroso: il fantastico in Dormire al sole si genera tra lo sguardo e la vita. Cosa accade se, nei momenti in cui la nostra osservazione del mondo è talmente lucida e penetrante da riuscire a percepire con un semplice sguardo il tormento dell’altro e decifrarlo, improvvisamente il filtro del fantastico si frappone tra noi e la nostra visione? Può succedere ad esempio che le sofferenze quotidiane, gli smarrimenti, le gelosie, le ossessioni amorose, i caratteri difficili, si trasformino in piccole storie impossibili, in lievi strappi nel reale che orchestrati sapientemente possono generare, in un microcosmo come il pasaje, una trama fantastica.

Bioy Casares sembra trovare così la sua scrittura, si allontana dalla macchinosità di certe sue scelte dovute all’irresistibile tentazione di inseguire Borges, e in un processo di dolorosa e complessa semplificazione, arriva a una prosa finalmente leggera, senza ostacoli, ma allo stesso tempo profonda, densa di umorismo e ironia folgorante, di straordinaria capacità di insinuare l’incubo, l’allucinazione, il dubbio che porta alla follia. «Non cambiano né le sue ossessioni né i suoi temi (l’identità, il doppio, l’ineluttabilità e impossibilità dell’amore, la dicotomia corpo-anima, l’immortalità, il progresso scientifico slegato dall’etica, l’esistenza di molteplici realtà)» ma «le trame si fanno meno complicate, l’architettura della narrazione diventa più agile e il linguaggio aderisce sempre di più ai tratti dell’oralità. Deciso a evitare ogni inciampo, ogni ostacolo alla lettura – scrive Lazzarato – l’autore procede con decisione verso la sintesi, la chiarezza, l’economia descrittiva, la semplicità dello stile, fino a renderlo quasi trasparente e senza peso».

Immagini dall’amico Xul Solar
Elementi minimi, quotidiani, nella rarefazione della vita tutta uguale, possono trasformarsi con un semplice deviare del disegno, nel nucleo occulto del genere fantastico. Nella moltitudine di presenze canine che affollano le pagine di Dormire al sole, l’osservatore attento noterà, quasi in trasparenza, alcune immagini del pittore amico Xul Solar; basti pensare alla descrizione della festa in strada con le maschere di animali: una presenza simbolica che intorpidisce le reti del reale e allarga le loro maglie all’insinuarsi del fantastico. Non manca neppure la figura dello scienziato che si spinge oltre ogni possibile morale per realizzare la propria perversa utopia: è un personaggio classico, che garantisce il legame netto tra Bioy Casares e una linea del genere fantastico capace di segnare profondamente – attraverso Lugones, Holmberg e tanti altri – la letteratura argentina.

Lento si insinua nella narrazione il turbamento per qualcosa che verrà; una minaccia segreta gravita sulle quotidianità normali del complesso intreccio di relazioni in quel microcosmo che è il pasaje a Buenos Aires; e una nota strategica della traduttrice (che mantiene sempre la parola in originale nel testo) ne spiega il significato e le possibili forme. Ed è proprio il pasaje a costituire l’accesso per il lettore al micro-universo di Dormire al Sole; un universo allo stesso tempo reale e onirico, di sfiancante sarcasmo, disprezzante ironia, tragica percezione dell’esistenza ma anche di humor che riesce a equilibrare l’anima nera della storia, il suo senso di tormentosa persecuzione, l’interminabile serie di elucubrazioni mentali, le riflessioni profonde, spesso messe in breve in una frase in fondo a un paragrafo: considerazioni sulla vita, sulla natura umana, sull’amore e anche sulla condizione angosciosa dell’esistenza. Così l’intreccio di vite minime in Dormire al sole si trasforma, nel buio, in una circonferenza di luce sul palcoscenico dell’esistenza. Così l’infinita ricerca dello scrittore riposa in quel frammento che rischiara, seppure per un solo istante, tutto lo scenario.