Millecinquecento agenti in assetto da guerra, due elicotteri piantati nel cielo e il blindato verde-polizia parcheggiato all’ingresso del palazzo fin dalle 7 del mattino. Un vero e proprio esercito impegnato nell’«operazione speciale» di sgomberare gli ultimi, irriducibili, 57 inquilini del centro sociale “Liebig 34” occupato trent’anni fa dopo la caduta del Muro.

Finisce così, in meno di quattro ore, la straordinaria, esperienza sociale e culturale del più celebre Wohnproject (progetto abitativo) di Berlino Est. Fra le telecamere dei mezzi d’informazione del gruppo Bild pronte a registrare la «liberazione dell’edificio dagli anarchici», la solidarietà urlata del centinaio di attivisti provenienti da tutta la Germania, e il quartiere di Friedrichshain ristretto dai check-point della polizei quasi come ai tempi della Ddr.

Oltre alla dispersione di qualunque assembramento in versione corteo o anche solo di passanti più curiosi del consentito.

IN QUESTA CORNICE hanno vinto la speculazione del “libero mercato” immobiliare e la legalità assunta a mantra gestionale dalla politica. Mentre ha perso Berlino alternativa all’omologazione socio-urbanistica e si è frantumata anche la “vetrina” istituzionale della giunta rosso-verde in cui «c’è la consapevolezza – sia dei Grünen che della Linke – che i berlinesi sono a favore dei progetti abitativi alternativi ma nessuno si sente responsabile: il consiglio di quartiere dice che non è proprietario del palazzo, così come chi guida il Senato» riassume il sociologo Andrej Holm, memoria storica del diritto alla casa nella capitale tedesca.

Concentrato soprattutto a svelare la colposità degli addetti alla formazione dell’opinione pubblica sui chaoten (così il mainstream liberal-conservatore bolla tutti gli attivisti della sinistra extraparlamentare) sempre e solo incardinata sulla violenza. «Nel dibattito si sono confusi aspetti diversi. Si può condannare e perseguire la violenza, ma non è un buon motivo per privare un’intera comunità del diritto alla resistenza gettandola in mezzo alla strada. Eppure il ragionamento resta: “se fanno una rissa, allora hanno perso il diritto di residenza”. Una concezione della legalità contraria alla nostra democrazia» sottolinea Holm.

Il risultato è ben descritto nel titolo di ieri della Taz: «Quando comanda il mercato non importa chi governa». Ovvero «se l’accesso all’edilizia residenziale è lasciato agli speculatori privati, lo Stato diventa il mero esecutore degli interessi di profitto coperti dalla legge» scrive il quotidiano della sinistra indipendente.

Così la vivacità di Berlino si riduce sempre più al movimento frenetico delle gru che svettano sui terreni comprati (per una pipa di tabacco) all’indomani del crollo del Muro.

Lo sgombero di “Liebig 34” è solo l’ultimo atto dello smantellamento di ciò che rimane delle 130 occupazioni collettive dei palazzi già di proprietà pubblica prima della svendita agli “imprenditori” dell’Ovest. E segue esattamente di un mese la chiusura forzata del “Syndakat”, altro centro sociale di Friedrichshain fondato trent’anni anni fa, con modalità perfino peggiori. Il 9 settembre la polizia ha occupato militarmente il rione obbligando i residenti a esibire la carta d’identità e istituendo una sorta di legge marziale. «Chi è autorizzato al transito, lo decide l’ufficiale di servizio» si leggeva sull’avviso della polizia.

Troppo, perfino per il ministro dell’Interno del Land di Berlino, Andreas Geisel (Spd), tutt’altro che amico dei «Chaoten», che si è chiesto: «era davvero necessario impedire agli abitanti la libertà di movimento terrorizzandoli per giorni?».

UN COPIONE RIPETUTO IERI con lo sgombero di “Liebig 34”, preceduto dalle notizie di auto incendiate, «barricate stradali» e interruzioni di quattro linee della metropoltana da parte dei «vandali di sinistra». Senza contare la «minaccia» della manifestazione di protesta degli occupanti al parco “Monbijou” fissata per ieri sera. Altra semplificazione mediatica della complessità degli squat berlinesi.

«Già nella Ddr molti occupanti si liberarono delle procedure di assegnazione dell’alloggio stabilendo di vivere “in nero” negli alloggi sfitti. La pratica è durata anche con la Riunificazione. Gli abusivi di allora non cercavano solo casa ma anche diverse forme di convivenza. Un vero movimento, vasto e reale, con oltre 100 edifici occupati. Non vennero sgomberati per la perdita di autorità della Ddr. Assenza di potere statale uguale spazio libero. Fino a novembre 1990 quando la polizia sloggiò militarmente gli occupanti di Mainzerstrasse» ricorda Holm.

All’epoca, l’operazione costò la caduta della coalizione di Spd e Verdi divisi sullo sfratto, prima che i politici incaricassero le associazioni per la casa di trattare con gli occupanti. «Su 130 Wohnproject circa 100 ottennero il contratto d’uso» precisa il sociologo, studioso di un’epoca ormai tramontata per sempre.