Con Avigdor Lieberman alla Difesa gli israeliani «andranno nei rifugi anti-bomba». È questo uno dei titoli che il quotidiano liberal Haaretz dedicava ieri alla scelta, non ancora ufficiale, fatta dal premier Netanyahu di nominare nuovo ministro della difesa uno degli esponenti della destra più radicale. Un esponente politico che qualche anno fa fece notizia in tutto il mondo per aver chiesto il bombardamento atomico della diga egiziana di Aswan. Dovranno però preoccuparsi molto di più i palestinesi, specialmente quelli di Gaza, che non hanno neanche rifugi dove cercare riparo. Lieberman, nel 2014, quando era ministro degli esteri, contestò quella che definiva la «politica arrendevole» del governo nei confronti di Gaza e di Hamas. Non riuscì a soddisfarlo neppure l’operazione militare “Margine Protettivo” (2.200 palestinesi morti e migliaia di case distrutte). L’anno scorso Lieberman, leader del partito Yisrael Beitenu, restò fuori dalla coalizione perché il primo ministro non si era detto disposto ad accettare tutte le sue condizioni.

Un anno dopo Netanyahu quelle condizioni si è detto pronto ad accoglierle pur di avere Lieberman nel governo e di rafforzare con altri sei seggi la sua risicata maggioranza alla Knesset. Oltre al ministero della difesa, il capo di Yisrael Beitenu ha ottenuto il via libera del Likud, il partito di Netanyahu, alla pena di morte per i «terroristi», palestinesi naturalmente. Arutz Sheva, l’agenzia d’informazione del movimento dei coloni israeliani nei Territori occupati, ieri commentava con evidente soddisfazione che l’accordo di governo prevede che le corti militari potranno decidere la condanna a morte di un “terrorista” con il voto favorevole di due giudici su tre. Dalla sua fondazione Israele ha applicato la condanna a morte soltanto una volta, nei confronti del nazista Adolf Eichmann.

Qualcuno in queste ore scrive e spiega, anche all’estero, che Netanyahu avrebbe fatto una scelta di convenienza per rafforzare la maggioranza e per saldare i conti con il ministro della difesa uscente e suo compagno di partito Moshe Yaalon, anche lui un falco che però sembra credere nel rispetto delle regole, almeno in certe circostanze. Di recente Yaalon ha chiesto la condanna del sergente Elor Azaria responsabile dell’uccisione a sangue freddo di un palestinese a Hebron e si è schierato dalla parte del vice capo di stato maggiore Yair Golan che aveva criticato pubblicamente l’intolleranza e gli sviluppi autoritari e antidemocratici all’interno della società israeliana. Cacciando Yaalon, il primo ministro ritiene di aver anche colpito quella parte dei vertici militari che lo aveva biasimato per aver attaccato frontalmente il presidente Usa Barack Obama favorevole all’accordo sul programma nucleare iraniano. Invece la scelta di Netanyahu si inserisce pienamente nel solco ideologico della destra ultranazionalista alla quale anche lui appartiene sia pure con un linguaggio diverso da quello usato da altri rappresentanti di questa parte politica. Il premier era davanti a un bivio. Poteva scegliere l’alleanza con il laburista Isaac Herzog – che, peraltro, ha sterzato a destra anche lui negli ultimi mesi – sapendo però che ciò lo avrebbe costretto a ridimensionare il peso nella coalizione di un altro alleato, il ministro nazionalista religioso Naftali Bennett, un leader dei coloni israeliani, e a dover accettare l’idea di una ripresa dei negoziati con i palestinesi forse sulla base dell’iniziativa diplomatica francese che sta cercando di silurare.

Ha perciò scelto Lieberman, un alleato scomodo, imprevedibile ma ideologicamente e politicamente vicino, al quale sarà affidato il compito di “governare” i Territori occupati e quattro milioni circa di palestinesi. Non sorprende che Casa ebraica, il partito di Naftali Bennett, abbia esultato sottolineando che il nuovo esecutivo «sarà il governo più a destra nella storia di Israele». La nomina di Lieberman a ministro della difesa potrebbe ora indurre il partito Fatah del presidente Abu Mazen e Hamas a realizzare quella riconciliazione nazionale palestinese tante volte annunciata e mai realizzata. Di sicuro spingerà i palestinesi a puntare con ancora più decisione sull’intervento dell’Onu e della diplomazia internazionale, anche se la speranza di ottenere risultati è ridottissima. «Questa decisione israeliana – ha commentato il ministero degli esteri dell’Anp – è la risposta di Netanyahu agli sforzi diplomatici francesi e internazionali e regionali e invia un messaggioforte al mondo che Israele preferisce l’estremismo, il perpetuare l’occupazione e la liquidazione della pace».