Se l’edizione di quest’anno della Biennale è gremita di nomi e di opere di indubbio prestigio e più che mai attese, altrettanto non si può certo dire della pattuglia estremo orientale presente al Lido. Fatta eccezione per l’ultima fatica di Shin’ya Tsukamoto infatti, ben poche sono le opere presentate provenienti dall’est e dal sud-est asiatico, lontani sembrano i tempi quando dietro al timone della manifestazione veneziana c’era Marco Muller.
Nelle sezioni collaterali e in quella dedicata ai classici ci sarà comunque più di un’occasione per sondare il polso di certo cinema asiatico contemporaneo e riscoprire e rivisitare quello già conosciuto da esperti e appassionati. Come si scriveva, l’unico film asiatico nel concorso ufficiale è Zan (Killing) di Shin’ya Tsukamoto, da qualche anno a questa parte divenuto un habitué della laguna, dove dal 2009 ha regolarmente presentato i suoi lavori. Nel 2011 il favoloso Kotoko, uno dei suoi migliori film, che in quella edizione vinse la sezione Orizzonti, mentre tre anni più tardi fu la volta del carnaio anti-bellico Nobi, pellicola che in patria continua ad essere proiettata in alcuni teatri ogni agosto, il mese delle due atomiche e della resa del Giappone nel 1945, come continuo grido contro la follia della guerra.
ISPIRAZIONI
Zan è il primo jidai-geki, film in costume o di samurai, in cui Tsukamoto si è cimentato, forse anche spronato e ispirato dalla sua partecipazione in veste di attore in Silence di Martin Scorsese. Prodotto dalla sua casa di produzione Kaiju Theater, Tsukamoto come spesso accade nei suoi lavori, si occupa qui, oltre alla regia, anche della sceneggiatura, della fotografia e del montaggio. Il film è anche il primo lavoro del giapponese dopo la scomparsa avvenuta l’anno scorso di Chu Ishikawa, musicista e compositore con cui ha collaborato durante tutta la carriera. La storia è ambientata durante la metà del diciannovesimo secolo, quando il Giappone feudale si stava trasformando in uno stato moderno, e segue le vicende di un ronin, un samurai senza padrone, e di una giovane contadina, nei ruoli principali Sousuke Ikematsu e Yu Aoi, volti abbastanza noti nel panorama del cinema indipendente giapponese.
Fuori concorso troviamo invece Ying (Shadow) di Zhang Yimou, anch’egli molto legato alla Biennale dove soprattutto negli anni Novanta ottenne notorietà con film quali Lanterne rosse, La storia di Qiu Ju e Non uno di meno, questi ultimi due vincitori del Leone d’oro in due edizioni del festival. Il film presentato quest’anno è un wuxia, film di arti marziali, ambientato in Cina nel terzo secolo dopo Cristo, dove due gruppi feudali si confrontano per il possesso di un territorio.
SPERIMENTALE
Nella stessa sezione il più sperimentale Ni De Lian (Your Face), lavoro in digitale con il quale il taiwanese Tsai Ming-Liang esplora le infinite possibilità cinematografiche del viso umano. Conoscendo l’abilità dell’artista di aprire nuove strade e possibilità visive, Goodbye Dragon Inn e Journey to the West sono alcuni degli esempi migliori in questo senso, il film si prospetta davvero molto interessante e da non perdere.
Perfetto per una sezione come Orizzonti l’indonesiano Garin Nugroho, con la sua idea di cinema ibrido e fluido, che porterà a Venezia Kucumbu Tubuh Indahku (Memories of My Body), dopo aver partecipato all’edizione del 2006 della Biennale con Jawa ed essere stato onorato dall’Alba International Film Festival dell’anno successivo con una retrospettiva. Completano la sezione Phuttiphong Aroonpheng con Kraben Rahu (Manta Ray) e Jinpa del cinese Pema Tseden.
Nei Classici da sottolineare la presenza, anzi il ritorno, di Akasen Chitai (La strada della vergogna) di Kenji Mizoguchi che proprio a Venezia debuttò nel lontano 1956. Ultima opera del grande regista giapponese, il film è ancora oggi un pugno nello stomaco nella sua impietosa descrizione della vita di alcune prostitute giapponesi e delle loro difficoltà per sopravvivere. In una società ancora fortemente incentrata sulla figura maschile come quella del Sol Levante, di alcune settimane fa la notizia che i concorsi per diventare medico in una prestigiosa università sono stati truccati per non far entrare persone di sesso femminile, La strada della vergogna è un lavoro che ha ancora molto su cui riflettere. Questo anche perché il film si grazia di un cast femminile e di interpretazioni stellari con Machiko Kyo, Aiko Mimasu e l’incredibile presenza di un’ancora giovanissima Ayako Wakao. Da riscoprire invece l’altro film giapponese presentato nella sezione, Koi ya koi nasuna koi (The Mad Fox) di Tomu Uchida, un esperimento narrativo con incursioni nell’animazione che mescola tradizione, la storia è derivata da uno spettacolo di burattini bunraku, con un delirio visivo filmato in Toei Scope che si preannuncia una visione unica, specialmente sul grande schermo.
MANGA
Un’ultima segnalazione per la giovane sezione Venice Virtual Reality, che fuori concorso presenterà Ghost in the Shell: Virtual Reality Diver, 16 minuti che esplorano il mondo creato prima su carta dal mangaka Masamune Shirow e successivamente nel franchise cinematografico-televisivo da Mamoru Oshii e dalla I.G. Production.