Pierluigi Battista sul Corriere della Sera di giovedì 23 luglio, chiedendosi retoricamente «se è così sprezzante e superficiale ribattezzare bene-comunismo la teoria, i riti e l’ideologia dei beni comuni», mostra di avere il dubbio di sparare qualche stupidaggine, anche se poi si risponde subito: è giusto.

Basta leggere «il manifesto degli anti bene-comunisti», pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni e curato da Eugenio Somaini, per rendersi conto che l’ideologia dei beni comuni altro non è che il riprodursi del deprecabile: «socialismo municipale». Dice Battista che il libro è «una requisitoria contro il tentativo di dare una veste seducente… a idee vecchie e a modelli… poco originali di intervento pubblico… in definitiva, alla solita minestra statalista e dirigista che ha nutrito per più di un secolo… sia la sinistra socialdemocratica che quella comunista…».

Per dimostrare questa tesi, si spazia nella storia di 200 anni: da Marx a Proudhom e alla sua definizione «la proprietà è un furto» da cui l’origine di tutti i mali, del pregiudizio sui privati e su tutto ciò che non è comune. Il bene-comunismo, si sostiene, è forse più anarchico e «generosamente roussoiano» ed è impostato su «l’ingenuità della democrazia diretta, assemblearista, generatrice di autoritarismo e statalismo…».

L’incubo della democrazia partecipata

Poche parole e secoli di cammino della civilizzazione umana sono liquidati: il diritto, il welfare, la democrazia, etc… e ignorati il contributo delle culture diverse, dei popoli indigeni, delle comunità della Pacha Mama, il fatto che i beni comuni come l’acqua, la terra, il cibo, l’aria, l’energia sono fondamentali alla vita e che c’è in atto un disegno globale di conquistarli da parte di un pugno di multinazionali.
E’ un modo di pensare, questo, che merita di essere ripreso, perché vi si possono leggere, brutalizzate, le fondamenta di quel pensiero politico e di quella cultura amministrativa che oggi (come un cancro) stanno uccidendo la Comunità Europea, la Grecia e la democrazia, monetizzano i beni e colonizzano popoli e comunità.

Lo sforzo dell’Istituto Bruno Leoni e di Battista è un “erudito” sfoggio di questo pensiero patologicamente anti-sinistra e fanaticamente liberista, manipolatore della storia, in particolare di quella delle municipalizzate.
Si cancella, ad esempio, il fatto che sono nate negli Usa, che nel 1888 il sindaco di Milano Gaetano Negri della Destra Storica, istituendo la prima municipalizzata dell’acqua, deliberò che «l’acqua è un bene indispensabile per la vita e la salute dei cittadini e non può essere gestito da interessi privati» e che in Italia le municipalizzate furono istituite per legge dal liberale Giolitti nel 1903.

Ciò che importa è battere il chiodo delle privatizzazioni e della demonizzazione di tutto ciò che può sembrare pubblico e quindi di sinistra. Perché alla fine il «Manifesto degli anti bene-comunisti» chiude con i triti argomenti dello «spreco di risorse pubbliche per un servizio scandalosamente inefficiente… fonte di clientelismi secondo gli imperativi del socialismo municipale …» e del referendum del 2011 sull’acqua pubblica, vinto, si dice, con il demagogico slogan «l’acqua è di tutti».

Ma Pierluigi Battista non pensi di vincere con questo articolo il «premio fedeltà». Il nuovo direttore dell’Unità, Erasmo D’Angelis, l’ha preceduto e superato con il suo primo editoriale, nel quale ci dice che l’Italia è «l’ultimo paese sovietico d’Europa» e che chi sostiene i servizi pubblici è fermo a Giolitti (liberale) cioè ad un paese arretrato e miserabile, dove, pensate un po’, «la civiltà e il progresso si misuravano nella gratuità e nell’universalità dei servizi»!

Sorprendente no? Ancora di più se detto da un ex redattore del quotidiano comunista il manifesto, ex presidente di Publiacqua Spa, ex sottosegretario alle infrastrutture.

L’offensiva privatizzatrice non ci risparmia nulla: il sindaco di Bologna viene denunciato perché non taglia l’acqua alle abitazioni occupate, in Calabria un sindaco si prende la denuncia dall’authority perché pensa di gestire direttamente l’acqua; ora il nuovo direttore dell’Unità, uomo della «casta» che ha ricoperto tante cariche pubbliche e gestito direttamente aziende pubbliche, diventa il fustigatore della mala gestione e si permette di definire 27 milioni di cittadini che hanno votato per la ripubblicizzazione dell’acqua, plagiati da retrogradi neosovietici.

Con questa esplicitata «cultura», il diritto diventa un qualcosa che si acquista e la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica… «si esprime comprando azioni delle imprese».

Viene spontaneo chiedersi: ma dove hanno vissuto e dove vivono i D’Angelis e i Battista?

Dove si sono costruiti una simile lettura del passato e del presente dell’Italia e dell’Europa?

Perché non vogliono vedere quali disastri hanno fatto nel nostro Paese i privati: Parmalat, Cirio, Fiat, Ilva e poi Telecom, Alitalia, ecc. e restando all’acqua: Suez, Veolia, Acea, Iren, etc..?

In Europa e nel mondo le cose vanno in modo diverso da quanto ci raccontano.

Le gestioni in house del milanese sono state definite dall’Europa come le aziende del settore tra le più virtuose, per basse tariffe, poche perdite, buona qualità dell’acqua e maggiori investimenti.

Parigi, Bordeaux, Nizza, Stoccarda, Berlino, Napoli, hanno ripubblicizzato i servizi idrici; in Olanda e in Belgio non hanno mai privatizzato; l’Irlanda è stata percorsa da manifestazioni per l’acqua pubblica; la Commissione del Parlamento europeo ha di recente votato per l’acqua diritto umano e aperto la discussione sul bene comune non mercificabile.

L’Onu ha dichiarato l’acqua un diritto umano.

Dal marzo 2000 al marzo 2015 si sono verificati nel mondo 235 casi di rimunicipalizzazione dell’acqua in 37 Paesi diversi, per un totale di più di 100 milioni di persone; la maggioranza delle città sono in Francia (94) e negli Usa (58, tra cui Atlanta e Houston); e ancora Bogotà, Santa Fè, Rosario, Mendoza, la provincia di Buenos Aires, Conakry, Kampala, Bamako, Johannesburg, Kuala Lumpur, etc.

I ricercatori dell’Università di Greenwich indicano le ragioni di insoddisfazione per la gestione privata: scarsi investimenti; degrado nella qualità dell’acqua; mancanza di trasparenza sui costi e le tariffe; crescita esponenziale dei costi; rischi ambientali; non trasparenza finanziaria; riduzione dei posti di lavoro e prestazione di servizi scadenti.

E infine c’è il Papa. Che dire del Papa? Cari signori, avete letto l’Enciclica? Dichiara, senza se e senza ma, che l’acqua potabile è un diritto umano e un bene comune non privatizzabile.

Che facciamo? Mettiamo nella «lista nera dei bene-comunisti» anche il Papa?

L’autore è fondatore del Comitato italiano per un contratto mondiale sull’acqua