Ogni anno verso i primi di dicembre, nel tempio buddista di Kiyomizu a Kyoto, viene annunciato il kanji, l’ideogramma usato nella scrittura giapponese, che più di ogni altro rappresenta e sussume gli avvenimenti dell’annata che sta per concludersi. È questa una «tradizione» abbastanza recente, fu infatti introdotta per la prima volta nel 1995, probabilmente anche per provare a segnare in maniera simbolica un momento di passaggio e di auspicata svolta per il Giappone, dopo il terremoto che colpì la zona di Kobe in gennaio ed in cui persero la vita più di sei mila persone, seguì solo pochi mesi più tardi l’attacco col sarin alla metropolitana di Tokyo da parte della setta Aum Shinrikyo.

 

 
L’ideogramma annunciato per rappresentare gli eventi di questo 2017 è «kita», nord, il primo kanji nella parola Kitachosen, Korea del Nord, una scelta quasi inevitabile vista la situazione di tensione nella zona, con l’ombra di una guerra con l’America di Trump che si allungherà purtroppo anche sull’anno venturo.
Di solito non è un solo avvenimento a decretare la scelta dell’ideogramma, «kita» è infatti anche legato all’eccezionale carenza di patate avvenute nell’isola settentrionale di Hokkaido, il cui primo ideogramma è appunto «kita».
Scorrendo tutti gli ideogrammi scelti dal 1995 ad oggi si viene a formare un’affascinante quadro della micro e macrostoria nipponica degli ultimi vent’anni che comprende sia gli avvenimenti più gravi relativi alla politica internazionale, sia quelli più leggeri legati allo sport per esempio ed anche quelli relativi alle catastrofi naturali che spesso colpiscono l’arcipelago. Proprio in questo senso fu scelto il primo ideogramma nel 1995, «shin», scossa, e seconda parte della parola «jishin», terremoto, per ricordare la tragedia avvenuta nel gennaio di quell’anno.

 

 
Nel 1998 fu la volta di «doku», veleno, dopo che una donna mise dell’arsenico in un pentolone di curry in un festival locale avvelenando un centinaio di persone ed uccidendone quattro, mentre nel 2000 l’ideogramma scelto fu «kin», oro, in onore delle medaglie d’oro vinte dagli atleti giapponesi alle olimpiadi di Sydney. Di tutt’altro tono il kanji dell’anno successivo, «sen», guerra, anno dell’11 settembre e della guerra e dell’invasione dell’Afghanistan, mentre nel 2002 fu scelto «ki», ritorno a casa, proprio in quell’anno infatti grazie ad una dichiarazione bilaterale fra i due paesi per la prima volta furono rimpatriati nell’arcipelago alcuni giapponesi rapiti e portati in Nord Corea nella seconda metà del secolo scorso. Nel 2006 si decise per «inochi», vita, in onore della nascita del principe Hisahito ma anche per rimarcare il valore della vita in un’annata dove purtroppo i suicidi fra adolescenti e giovanissimi subì un’impennata. Nel 2011, uno degli anni più bui e difficili per il Giappone contemporaneo, l’ideogramma scelto fu «kizuna», legame, simbolo di un nuovo legame fra le persone dopo che la triplice tragedia del terremoto, tsunami e disastro nucleare mise in ginocchio l’intero Paese.

 

 
Questo breve excursus, che certamente racconta solo la superficie degli eventi, è indicativo però dell’importanza che gli ideogrammi e la loro valenza simbolica hanno nella società giapponese. A questo proposito basti ricordare che l’attuale periodo storico, cominciato nel 1989 con la morte dell’imperatore Hirohito e denominato Heisei finirà nel marzo del 2019 quando l’attuale imperatore, evento straordinario, abdicherà, manca ancora del tempo, ma già i media e l’opinione pubblica si stanno interrogando su quali debbano essere gli ideogrammi ed il nome da dare alla nuova era.