Film come Once Upon a Time in Anatolia e Winter Sleep di Nuri Bilge Ceylan, Honey di Kaplanoğlu, I’m Not Him di Pirselimoğlu grazie anche a importanti premi ottenuti in Festival come Cannes e Berlino, hanno contribuito negli ultimi anni a far conoscere a un pubblico più vasto della cinefilia carbonara il cinema turco d’autore. Che è più vasto e variegato di quello che può far pensare la programmazione italiana sempre più massiccia e confusionaria di un cinema “minore”. Il paradosso è che molti film turchi, greci, indiani, iraniani ecc.. rispetto ai decenni precedenti, vengono distribuiti ma non sembrano lasciare traccia almeno nel senso di considerarli emblematici e indicativi delle produzioni autoriali dei singoli paesi. A far luce su una cinematografia contemporanea importante arriva ora il saggio Nuovo Cinema in Turchia (Edizioni Falsopiano, pp. 165, euro 18), un volume agile e documentato, rigoroso e stimolante. L’autore, il critico Giovanni Ottone, esperto di cinema sudamericano, ricostruisce con competenza le origini e le caratteristiche del nuovo cinema di un paese che già negli anni ’60 e ’70 ha espresso un’ autorialità controversa quella dei Güney, Yilmaz, Okan influenzati dalla “Nouvelle Vague” o dal “Neorealismo”. Ne viene fuori l’approfondimento di un cinema che con varietà di stili e approcci alla narrazione, affronta le problematiche dell’identità di un Paese che sta attraversando una fase cruciale sociale e politica della sua storia, ma anche il confronto tra la terza generazione dei registi nati all’inizio degli anni ’60, e la quarta dei filmmakers nati nei decenni successivi. Si tratta di autori per la maggior parte indipendenti non legati da manifesti programmatici o estetici comuni che però condividono un ethos cinematografico. Il volume non trascura il cinema politico e come è trattata dai cineasti la questione kurda.