Lo Svimez la definisce una proposta «choc», e in effetti l’idea è semplice ma sarebbe, per un certo verso, rivoluzionaria: i lavoratori in cassa integrazione si potrebbero utilizzare per la riqualificazione delle aree industriali retroportuali del Sud, con grandi vantaggi per tutti (a cominciare da loro stessi).

La proposta è contenuta nell’ultimo numero dei Quaderni dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno, che questo mese pubblica il volume La rivoluzione logistica, di Ennio Forte. Si tratta, spiega il professore di Economia dei Trasporti alla Federico II di Napoli, di un progetto indirizzato in particolare ai lavoratori che usufruiscono della cassa in deroga.

Ma se si trovassero dei sistemi di “ammorbidimento” dei rigidi meccanismi che regolano gli ammortizzatori sociali, si potrebbero magari coinvolgere quelli in cassa straordinaria (quest’ultima è a carico delle casse Inps, mentre la prima è a totale carico della fiscalità generale).
L’obiettivo sarebbe come detto quello di riqualificare le aree industriali retroportuali di Napoli, Salerno, Catania, Taranto, Messina, Termoli, Torre Annunziata e Gioia Tauro attraverso opere di bonifica degli edifici dimessi, costruzione di infrastrutture, filiere e servizi logistici ad alto valore aggiunto che aumentino il valore delle merci in transito, generando ricchezza.

Un’operazione che costerebbe alle casse dello Stato, secondo stime dello Svimez, da 1 a 3 miliardi di euro, con un rientro pari al doppio del costo dell’investimento. Un bel guadagno per l’intero sistema Italia.

Ma perché riqualificare proprio quelle aree? Quale misterioso tesoro sarebbe contenuto nei retroporti, ovvero tutte quelle aree (spesso molto vaste) che si trovano dietro la zona delle banchine, a ridosso dei principali scali marittimi? La risposta sta nella logistica economica, una branca dell’economia che punta a ottimizzare il sistema dei trasporti e della logistica per renderlo il più funzionale possibile alla produzione e distribuzione delle merci. E più un sistema è efficiente, più si abbassa il prezzo della filiera traslog (trasporti e logistiche): «Una componente strategica, che può raggiungere a volte fino al 70% del prezzo nel mercato finale», spiega Forte.

Le aree dei retroporti, in sistemi portuali molto più avanzati dei nostri – vedi quelli olandesi – sono messe a frutto per svolgere funzioni come il controllo qualità, il confezionamento, l’imballaggio, l’etichettatura: l’idea è quella del distripark in uso nei Paesi Bassi, una infrastruttura che permette di svolgere insieme, grazie a macchinari e spazi adatti, tutte quelle funzioni.

Dei distripark potrebbero essere costruiti ad esempio nelle aree retroportuali di Napoli, Torre Annunziata, Castellammare e Salerno, spiega lo studio dell’Università Federico II, stando alla sola Campania. Vi si potrebbero adibire le centinaia di migliaia di lavoratori edili che usufruiscono della cassa – e che a volte accoppiano a un lavoro nero del tutto irregolare – impiegandoli direttamente, o attraverso le imprese, che si dovrebbero invitare a utilizzarli con incentivi da parte del pubblico.

Ma dietro la proposta non c’è una visione limitata solo al nostro Paese: si punta sui porti perché, soprattutto negli snodi di Gioia Tauro e Trieste, questi possono diventare una prospettiva di sviluppo per l’intera Europa, per il momento basata soprattutto su quelli nordici. Coinvolgendo così in modo sempre più efficiente e meno costoso le aree mediterranee e mediorientali, in modo da collegarle al Centro e al Nord Europa per mezzo di vie alternative e più competitive.

Cambiamenti che non risulteranno graditi, però, ad alcuni spedizionieri: Spediporto ha criticato la tendenza a sdoganare le merci nei retroporti, mentre grossi gruppi come Fiat o Ikea, al contrario, spingono in quella direzione. E non basta: lo studio pubblicato da Svimez individua un’altra area, non portuale, di 2600 ettari, oggi non utilizzata e che potrebbe essere riqualificata grazie ai cassintegrati. È quella compresa tra Poggioreale, Ponticelli, Barra e San Giovanni a Teduccio: zone difficili del napoletano, che sicuramente potrebbero avere solo benefici dalla creazione di nuovo lavoro.