«Orgia – rispondeva così Pasolini, nel 1968 – è il dramma della disperata lotta di chi è diverso contro la normalità che respinge ai margini, che rinchiude nel ghetto, è il rapporto tra diversità e storia». L’Uomo e la Donna, personaggi, coppia borghese, qui sono quella diversità: in una abisso di autodistruzione e annichilimento, di morte. Un prologo e sei episodi per la prima delle sei tragedie che Pasolini scrive a partire dal ’65, ma con più insistenza e prorompente vivacità dal ‘66. La mette in scena, con Laura Betti e Luigi Mezzanotte interpreti, per la prima volta al Teatro Stabile di Torino nel novembre del ’68, l’anno del suo “Manifesto per un nuovo teatro”, in cerca di un «Teatro di parola»: sia debutto che repliche vengono negativamente accolti da pubblico e critica. Pasolini, a un certo punto, al teatro rinuncerà.

E manca poco ormai – il 7 e l’8 giugno al Festival delle Colline Torinesi, Teatro Astra, dopo la recente prova aperta al Teatro Dimora della romagnola Mondaino – al debutto dell’Orgia prodotta dalle Fibre Parallele, compagnia fondata nel 2006 da Riccardo Spagnulo e Licia Lanera, drammaturgo lui, regista lei, entrambi attori, gruppo che sin dalla sua nascita ha scardinato immaginari e finte verità (Mangiami l’anima e poi sputala, Furie de Sanghe, Duramadre, Lo Splendore dei Supplizi, La beatitudine). Questa volta sul palco, però, solo Lanera, regista e interprete, sia dell’Uomo sia della Donna, insieme a Nina Martorana nel ruolo della Prostituta. «Il percorso di Fibre parallele, che è però più strettamente mio in questo caso – ci racconta Lanera – incrocia il testo di Pasolini su invito di Rodolfo Di Giammarco per la rassegna “Garofano verde”: è infatti nato dapprima La donna nell’uomo, un mio reading, una riduzione, una parte di Orgia. Poi, da quel settembre 2015, è cresciuta la necessità di portare sul palco, e in altra forma scenica, l’intero testo».

Ma chiedere di Pasolini a Lanera significa anche addentrarsi in zone più profonde, fare salti indietro nel tempo, tornare ad accadimenti che hanno ridefinito identità e sguardo sul mondo: «Sono due gli eventi che hanno segnato profondamente il mio pensiero di adolescente sulla vita: l’essermi imbattuta in La buona novella di De André e in Amado mio di Pasolini. Hanno rideterminato il mio rapporto con la religione, che fino a quel momento era stata molto presente; hanno dunque rideterminato il mio stare al mondo, il mio senso politico dello stare al mondo, che non è una dimensione legata al partito ma alla polis».

E allora, un’opera come Orgia, forse, prima o poi sarebbe dovuta necessariamente arrivare: «In questo testo ci sono tante cose a me vicine, mi interessavano certamente la tragedia della diversità e quella che per Pasolini era l’altra, inseparabile, tragedia, quella linguistica. La menzogna della lingua, che già inizia da quando ci insegnano a parlare. E pertanto la dicotomia è con il linguaggio del corpo, quello che io so praticare meglio. Un linguaggio animalesco, barbarico, che in Orgia si esprime all’interno della coppia attraverso l’atto violento, sessuale, violenza che è però unica possibilità comunicativa e rivoluzionaria. Questa dicotomia è assoluta, rompe lo spazio e il tempo».

Un quadrato cinque per cinque delimitato dalle luci e da nastro adesivo. Due aste col microfono e una poltrona. L’incursione del rap di Eminem, l’apparizione di tre dipinti seicenteschi (Paesaggio con la Ninfa Egeria di Claude Lorrain, Maddalena in estasi di Caravaggio, Ila e le Ninfe di Francesco Furini), riprodotti dal pittore Giorgio Calabrese: «Sono dipinti veri – continua Lanera – una cosa che a teatro non si fa quasi più, e qui permettono uno sdoppiamento della visione. Per il resto, come regista ho voluto “distruggere” ciò che andava distrutto (non c’è, ad esempio, la camera da letto) e mantenere ciò che doveva restare. La vera lotta, per me, però, ha riguardato il lato interpretativo. Perché, ed ecco una delle tante meravigliose contraddizioni pasoliniane, la lingua è menzogna ma qui è anche, in maniera indissolubile, poesia. Anzi quello che i personaggi dicono, sosteneva Pasolini, è un misto di verità parlata e dizione poetica”. Una lingua bellissima, in un testo verboso, difficilissimo».

E in quei personaggi, in quella recitazione, Lanera è tornata a ritrovamenti, è approdata a scoperte: «Sono l’Uomo e la Donna perché io sono già quell’ambiguità, non c’è bisogno di travestimenti. La tragedia è di entrambi, solo la prostituta è totalmente inconsapevole del mondo. Il rapporto di potere, di carnefice e vittima, di dominio, tra marito e moglie, è però in fondo paritario, non lo è fisicamente ma mentalmente sì. È, tuttavia, un atto di rottura da parte di entrambi, verso un potere che c’è ma non vediamo. Non sono certamente eroi, ma lei è più eroina di lui, più iconografica, ammazza i figli, muore tra le acque, lui invece impiccato in mezzo al vomito. Eppure l’uomo è la figura più articolata a mio avviso, quella chi mi appare ora più imprendibile. Ma Orgia, è, ed è stato, soprattutto, un riappropriarmi di me stessa. Ero in bilico tra la vita e la morte, questo testo, questa parola, Orgia, rispecchiava ciò che ero io in quel momento, quando ho iniziato a lavorarci, era la parola che avrei voluto dire e che non sapevo dire. E allora l’uso che ne ho fatto si può definire utilitaristico, perché forse era il solo uso possibile. Era l’unico modo per rendere questa parola viva».