Era già sembrata una notizia inaudita che i fazendeiros del sudovest del Pará avessero celebrato, il 10 agosto, una «giornata del fuoco» appiccando roghi in tutta la regione (oltre 300 a Novo Progresso, più di 400 ad Altamira) al fine di richiamare l’attenzione del governo sulla necessità di abbattere la vegetazione «per poter lavorare».

Ma c’è anche qualcosa di peggio: tre giorni prima, il 7 agosto, il governo era stato informato ufficialmente dell’iniziativa dal Pubblico ministero federale del Pará, ma non aveva mosso un dito per scongiurarla. L’allarme era stato trasmesso all’Ibama – l’Istituto per l’ambiente e le risorse rinnovabili dipendente dal ministro dell’Ambiente Ricardo Salles -, che tuttavia aveva risposto solo 5 giorni dopo, a giochi ormai fatti, affermando di aver sollecitato l’appoggio della Forza nazionale di sicurezza – la quale fa capo al ministro della Giustizia Sergio Moro – senza ottenere alcun riscontro.

Ma la lista delle accuse rivolte al governo Bolsonaro – il cui tasso di disapprovazione è schizzato dal 28,2% al 53,7% tra febbraio e agosto – appare interminabile. Già a febbraio, per esempio, il ministro Salles aveva licenziato 21 dei 27 sovrintendenti dell’Ibama, sprezzantemente definita da Bolsonaro come «industria delle multe». E aveva annunciato la creazione di un nucleo di conciliazione ambientale incaricato proprio di rivedere le contravvenzioni per deforestazione illegale applicate dall’organismo, le quali, non a caso, sono cadute del 29% da gennaio ad agosto.

Ci sono poi i drastici tagli al bilancio del Ministero dell’ambiente, che del resto Bolsonaro aveva pensato inizialmente addirittura di eliminare, per poi affidarlo a Ricardo Salles, noto negazionista climatico: tagli pari a 244 milioni di reais, di cui 89 sottratti al bilancio dell’Ibama, pregiudicando i programmi destinati ai controlli e alla lotta agli incendi forestali (i quali hanno perso rispettivamente il 38% e il 24% delle loro risorse).

Ma se azioni e omissioni sono risultate devastanti, le dichiarazioni – contro l’Ibama, contro le demarcazioni delle aree indigene, contro le aree protette, contro il cambiamento climatico – non sono state da meno.

Come ha denunciato l’ex ministro dell’Ambiente (nei governi di Fernando Henrique Cardoso e di Michel Temer) José Sarney Filho, le cui credenziali non sono certo dunque quelle di un leader ecologista, «se è il presidente stesso a mandare segnali di smantellamento della politica ambientale, è evidente che sta incentivando la deforestazione con tutte le sue conseguenze».

Le conseguenze le ha riferite, tra moltissimi altri, il filosofo e ribeirinho (popolo tradizionale che vive in prossimità dei fiumi) Elias Flexa, del Pará: fazendeiros, madeireiros (industrie del legname) e invasori di ogni tipo che agiscono indisturbati abbattendo enormi aree di vegetazione e appiccando il fuoco, miniere illegali che spuntano ovunque contaminando fiumi e sottosuolo, grilagem (appropriazione illegale di titoli di proprietà) e pesca predatoria di nuovo in auge. «Bolsonaro è la certezza dell’impunità per ciò che sta avvenendo in Amazzonia», conclude.

E dopo la dura nota emessa venerdì dalla Conferenza dei vescovi brasiliani, che ha sollecitato «provvedimenti urgenti» contro le «criminali depredazioni» in corso, denunciando «visioni e scelte sbagliate» e «giudizi e discorsi disastrosi e deliranti», si è pronunciato domenica anche il papa: «Siamo tutti preoccupati per i vasti incendi che si sono sviluppati in Amazzonia. Preghiamo perché, con l’impegno di tutti, siano domati al più presto. Quel polmone di foreste è vitale per il nostro pianeta».