Una biblioteca eccentrica, che espone libri in ferro, stoffa, bronzo, bruciati (compreso il Mein Kampf, cucinato ai fornelli), o un archivio che «ruba» la struttura di una torre altissima. Migliaia di pagine che esplodono, invadendo gli spazi urbani e che si presentano al pubblico affette da gigantismo. Se gli italiani non sono – per appurata statistica – lettori forti, gli artisti contemporanei provano a sollevare la media nazionale, attirando (almeno gli sguardi) su alcuni «prodigiosi» prodotti editoriali, romanzi, saggi, classici e ristampe. E reagiscono così al dibattito che contrappone l’ebook allo sfoglio cartaceo. In qualche modo, istintivamente, si schierano, ascoltando le lusinghe del digitale con un orecchio e guardando con concupiscenza la «pesantezza» dell’oggetto-libro, la sua materialità fra gli scaffali. Il risultato è un gioco rocambolesco con i volumi (quelli da leggere) e con la «volumetria» (quella fisica), creando sorprendenti sculture e installazioni. Monumenti al posto dell’oblio.
Sarà il Marca di Catanzaro ad affrontare la spinosa questione con una mostra che ha dell’«enciclopedico» (tema quest’anno assai in voga, basti ricordare il concept della prossima Biennale di Venezia a firma di Massimiliano Gioni) e del «ciclopico». Bookhouse. La forma del libro è il titolo della rassegna che Alberto Fiz ha pensato per il museo calabrese (4 maggio – 6 ottobre) dove oltre cinquanta artisti si sono accaniti intorno all’icona, finendo per occupare ogni spazio disponibile. L’esercito di autori affascinati e rapiti dall’oggetto in sé, nel corso degli anni, è divenuto particolarmente folto: conta fra le sue fila maestri degli anni Sessanta come Jannis Kounellis, Giulio Paolini, On Kawara, Dennis Oppenheim, passando per Emilio Isgrò, Richard Wentworth, Luigi Ontani, William Kentridge, Stefano Arienti, Candida Hofer, Per Barclay, Clegg & Guttmann e Shilpa Gupta.
Nell’itinerario del Marca ci saranno i libri liquidi, «sciolti» in un acquario del coreano Ki-bong Rhee, ideale stazione di arrivo in vista di una dissoluzione, ma anche la fisicissima biblioteca di nove metri di Claes Oldenburg e Coosje Van Bruggen (direttamente dal museo di Sant’Etienne) che però è incorsa in un incidente imprevisto e appare un po’ accartocciata, è «ferita». Alla sua imponente stazza rispondono le microsculture in carta di Sabrina Mezzaqui, artista bolognese che spesso utilizza come fonte di ispirazione la letteratura. Troviamo poi i libri-natura morta di Pierpaolo Calzolari e l’ironica dentiera di Dennis Oppenheim, dove «i denti mancanti – spiega Fiz – rimandano ai gangli scomparsi della storia dell’arte». Il paradosso sempre acceso fra natura e cultura viene invece interpretato da Mark Dion: è sua la voliera-biblioteca, al cui interno albergano uccelli vivi, un albero e diversi volumi. In questo lavoro del 2007, «l’artificialità della cultura finisce per scontrarsi con la verità cristallina della natura. Il risultato è che spettatori e animali sono costretti a condividere la medesima ’visione’ dei libri», dice il curatore.
L’esposizione avrà un dna irradiato sul territorio: sarà un centro propulsore di altre iniziative a funzione didattica e scientifica, in sinergia con l’Accademia di belle arti e il liceo artistico di Catanzaro, prevedendo workshop, conferenze, incontri con i curatori e gli artisti, laboratori didattici, proiezioni e piccole rassegne itineranti. C’è anche un côté tecnologico: a raccontare la sperimentazione del XXI secolo intorno al libro provvederà lo Zkm di Karlsruhe, l’importante Centro di Arte e Media diretto da Peter Weibel che affronterà la sfida delle pagine da sfogliare, osservate nella loro continua metamorfosi. Un terreno fertile dove piantare i semi del futuro.
«La mostra non vuole essere in un nessun modo un omaggio al libro d’artista – tiene a specificare Alberto Fiz – Mi interessava creare un percorso che partisse dalla forma del libro medesimo, che in qualche modo può considerarsi perfetta e sempre uguale a se stessa. In questo contesto, diventa l’occasione per una sorta di architettura. Per esempio, l’installazione dello slovacco Matej Kren si basa sulla raccolta di circa ottomila volumi. Un site specific che continua la serie Idiom, legandola come di consueto al luogo dove si trova ad esporre. Questa volta, alla costruzione della ’Torre di Babele’, alta quattro metri, ha partecipato un editore locale come Rubbettino, fornendo materiale dal suo archivio. Due specchi, uno in alto e uno in basso, completano l’opera di Kren, realizzando uno spazio intimo e illusionistico…».
Qualcuno, invece, ha preferito puntare sulla più trita quotidianità: lo svizzero Peter Wuthrich conduce lo spettatore in camera da letto, avvolgendo ogni oggetto – dalle coperte ai pacchetti di sigarette – di pagine scritte (spesso ricorrendo a titoli di celebri romanzi).
Il rapporto con la parola e con il processo di scrittura, suoi momenti di oblio e di ritorno, viene indagato magistralmente da Emilio Isgrò (Cristo cancellatore), ma anche da Irma Blank, che prende di mira l’esasperazione linguistica e le possibilità offerte dal «silenzio».
La visita sarà libera, nessun percorso cronologico segnerà la strada. Piuttosto, si assisterà a una «serie di visioni» in un allestimento che procede volutamente per contrasti aperti nella direzione, afferma ancora Fiz, di «una dissoluzione dell’oggetto in sé, ma nello stesso tempo di una sua riappropriazione. Gli artisti, soprattutto le ultime generazioni, hanno percepito l’idea dello scrigno della memoria legato a ogni libro, qualcosa che ’legge’ il contenuto, superando la forma».