La lettera aperta firmata da 154, tra librai e libraie, pubblicata sul sito di Minima&Moralia sabato 8 aprile ha portato alla luce i nodi di una discussione pubblica riguardante la riapertura delle librerie. In seguito al nuovo decreto del presidente del Consiglio che ha previsto la riapertura a partire dal 14 di aprile, un gruppo di lavoro ha condiviso la propria riflessione in seno a Led – Librai Editori Distribuzione in rete.

I SEI PUNTI SOLLEVATI convergono su una presa di responsabilità istituzionale chiara riguardo anzitutto la sicurezza sanitaria sul lavoro, quali dispositivi, quali forme di tutela e protezione. In che modo si può intendere una circolazione dentro un luogo che prevede permanenza e contatto. A che punto è la valutazione rispetto alla sanificazione dei locali, se è prevista almeno. In che modo sono state considerate le evidenti riduzioni delle vendite, per esempio quali sostegni specifici sono previsti per la riduzione del canone di affitto. Plausibile l’ulteriore preoccupazione relativa alla perdita di accesso ai vari contributi pubblici. «Riaprire le librerie non può essere considerato un puro gesto simbolico – è scritto in calce alla stesura dei punti -, ma deve essere un’azione strutturata e gestita nella sua complessità, così come dovrebbe avvenire per tutte le altre attività necessarie alla vita sociale».

La questione del simbolico e del materiale potrebbe essere però un’opportunità per considerare i vari contesti entro cui una simile proposta si muove, sia pure portando con sé molte criticità (alcune delle quali sono relative all’articolo che Francesca Borrelli ha pubblicato ieri sulle pagine di questo giornale). Non esiste nessun piano simbolico se non si tengono in nessun conto le legittime obiezioni che vengono poste da chi lavora in una libreria. La consultazione dei diretti interessati è il minimo da considerare per avviare una discussione credibile. I vari contesti tuttavia hanno suggerito nelle ultime ore già degli adeguamenti nelle diverse modalità di impatto territoriale che una simile decisione poteva suscitare; per esempio con il diniego di apertura in Lombardia, Piemonte e Trentino, parte della Emilia Romagna, la frequenza di apertura due volte a settimana in Veneto e ancora la chiusura totale in Campania e in Sardegna, oppure nel Lazio l’apertura solo dal 20.

IN QUESTA MAPPA a base regionalistica, in cui spiccano differenti zone con più o meno contagi, emergono alcuni fronti. Se alcune librerie sono ferme sul no, da Bari a Milano, anche alcuni editori non concordano con la decisione dell’ultimo Dpcm (per esempio Andrea Gessner di Nottetempo che ha scritto una lunga nota pochi giorni fa).
I nodi all’ordine del giorno sono tuttavia ancora sul versante del lavoro e della sua organizzazione in relazione all’autonomia, che non significa solo «essere indipendenti» ma poter decidere e rispondere delle proprie forze (per esempio nel caso di piccole realtà in cui chi è proprietario è anche l’unico che lavora). Altro discorso è relativo alla gestione degli spazi, spesso proporzionali al flusso dei visitatori difficile da gestire, come nel caso delle librerie di catena che sembrerebbero mostrare cautela, come Mondadori, Feltrinelli e Giunti, a differenza di Libraccio che invece, nei territori consentiti, ha riaperto alcune delle sue sedi.

Se la discussione è complicata dalle diverse fisionomie di ogni territorio e di ogni singola situazione, è pur vero che permane la crisi del settore, ulteriormente falcidiata dalla attuale emergenza ma non per questo supportata in maniera decisa. Se allora è facile comprendere anche chi gioisce della decisione di poter tornare alla propria amata libreria, è altrettanto semplice chiarire che la salute dei lavoratori debba essere una priorità non emendabile né trascurabile.