opo quasi un mese di intensi combattimenti, con decine di morti, migliaia di residenti in fuga e danni di granate persino alla moschea in pieno centro storico, la città di Sabratha in Libia, finora principale base dei contrabbandieri di esseri umani, sembra essere stata pacificata.

IL CONDIZIONALE è d’obbligo visto che le milizie che controllavano la città, agli ordini del giovane e spietato Ahmed al Dabbashi, soprannominato «lo zio», potrebbero aver trovato riparo nella vicina città portuale di Zawiya, dove hanno legami con altri trafficanti, per poi tornare all’assalto. Tanto che nella sua visita a Roma, la settimana scorsa, il presidente del Consiglio di Stato libico, Abdel Rahman Swehli, aveva detto che «nessuno può affermare in questo momento di aver il pieno controllo di Sabrata».

La dichiarazione di Swehli però era relativa all’allargarsi della sfera di influenza del generale della Cirenaica Kalifa Belqasim Haftar. Secondo la previsione del presidente del parlamento non riconosciuto a cui però fa capo il premier di Tripoli Fajez Serraj, Haftar non potrà cementare la sua influenza a ovest, in Tripolitania. E qui basta intendersi sulle divise da indossare.

IL NUOVO CAPO militare di Sabratha indossa un bel basco blu, si chiama Omar Abdul Jalil ed è alla guida di una nuova forza chimata «sala operativa anti Isis» (Aior). Il premier Serraj ha dovuto chiarire, in una intervista pubblicata ieri su Le Monde, che si congratulava per la vittoria di questa unità sulla cosiddetta «Brigata 48» alleata alla milizia di Dabbashi. Fino a luglio scorso Dabbashi era accusato -dall’Onu e da fonti giornalistiche, locali e internazionali – di essere in combutta con la Guardia costiera di Tripoli, finanziata e addestrata dal governo italiano per fermare i migranti.

IL SINDACO di Sabratha ha dovuto chiarire, ai suoi concittadini in primis, che la sala operativa anti-Isis non fa parte delle truppe di Haftar ed è invece «una forza legale riconosciuta dal governo Serraj». Ma il racconto sui siti locali per tutta l’estate è stato che proprio a Sabratha le forze al comando di Haftar stavano cercando di cacciare dalla città le milizie legate a Tripoli. E se questi combattimenti, che si sono intensificati dopo la visita di Haftar a Roma, non hanno inficiato il cessate-il-fuoco tra Haftar e Serraj è solo in virtù della clausola per cui restavano ammessi fronteggiamenti in funzione anti-terrorismo.

Dabbashi è accusato di aver reclutato almeno una trentina di jihadisti delle Brigate di Difesa di Bengasi. Ma secondo altri media «lo zio» è furibondo per esser stato scaricato dall’Italia dopo le accuse dell’Onu. La sua milizia nel 2015 aveva un contratto per la sicurezza dell’impianto Eni-Noc di Mellitah, a ovest di Sabratha.