Sono ragazzini di 15-16 anni, per lo più somali, eritrei, sudanesi, richiusi nei centri di detenzione libici che ricevono i soldi dal Fondo fiduciario dell’Unione europea e vengono picchiati, maltrattati e nutriti con mezzo piatto di pasta scondita al giorno, tenuti a dormire per terra, ammassati senza alcuna igiene. La nuova inchiesta questa volta pubblicata dal Guardian ieri e denuncia come in queste condizioni – definite inaccettabili da Amnesty ma anche dall’Unhcr – vengano tenuti anche con i finanziamenti del governo britannico. «Sono qui da quattro mesi. Ho cercato di scappare tre volte per attraversare il mare e andare in Italia ma ogni volta sono stato catturato e riportato al centro di detenzione. Stiamo morendo qui ma a nessuno sembra importare, dobbiamo essere portati in un posto sicuro, ma siamo rinchiusi qui. Non vediamo l’alba e non vediamo il tramonto», dice un sedicenne.

Risale al 24 ottobre scorso l’ultima disperata protesta nel centro di detenzione di Triq al Sikka documentata dall’Irish Times tramite la testimonianza dell’Unhcr: un giovane di 20 anni si è dato fuoco dopo essere stato riportato dentro dalla Guardia costiera di Tripoli mentre cercava di raggiungere l’Italia. L’ottavo caso del genere lì nel 2018.