Il premier libico Fayez al Serraj ieri ha invitato la popolazione di Tripoli a riprendere a vivere e lavorare normalmente. «Siamo impegnati nella protezione della sicurezza dei cittadini» ha detto al termine del consiglio dei ministri. Dopo nove giorni di scontri violentissimi che hanno provocato 63 morti e 159 feriti, parlare di normalità in Libia appare quasi irreale.

Per ora la tregua siglata martedì pomeriggio tra le varie fazioni grazie alla mediazione dell’inviato speciale dell’Onu Ghassan Salamè, sembra reggere anche se non mancano segnali preoccupanti. Ad esempio nessuna tra le milizie che in questi giorni si sono combattute è arretrata dalle proprie posizioni, come pure prevede l’accordo per il cessate il fuoco. E la prima a non farlo è stata proprio la Settima Brigata di Tarhuna, città ex roccaforte di Gheddafi situata a 80 chilometri dalla capitale, che il 27 agosto ha dato inizio ai combattimenti contro le milizie di Tripoli che difendono il Governo di accordo nazionale, accusandole di corruzione.

Ieri mattina la Settima ha addirittura denunciato di aver subito un attacco alle proprie postazioni e per questo di aver risposto al fuoco. Dimostrazione, ammesso che ce ne sia bisogno, di come i primi a non credere alla tregua siano proprio coloro che l’hanno firmata. Come se non bastasse ieri è stato rapito un funzionario della banca centrale di Tripoli. L’uomo, responsabile per l’istituto del servizio delle carte d credito , dirigeva anche il comitato di gestione della Libyan Foreign Bank ed è stato prelevato da un gruppo armato in piazza dei Martiri.

E’ innegabile che sul terreno la situazione è cambiata da quando in città sono arrivate le milizie della Forza Antiterrorismo di Misurata, chiamate da Serraj difesa del governo e che si sono schierate nell’area di Mitiga, a est di Tripoli. Questo ha liberato le Forze di deterrenza (Rada) che fanno capo al governo, permettendo il loro spostamento da est a sud e costringendo gli uomini della Settima ad abbandonare le postazioni conquistate nei giorni scorsi pur senza abbandonare la città. Intanto centinaia di migranti che martedì erano fuggiti dai centri governativi nei quali erano detenuti, stati ripresi e richiusi di nuovo.

«La notte sentivamo gli spari e cinque persone sono state colpite» ha raccontato un uomo di origine eritrea. «Quando abbiamo chiesto del responsabile, nessuno ci ha risposto. Ecco perché siamo andati via».
Sulla crisi libica oggi i ministri degli Esteri Enzo Moavero Milanesi e della Difesa Elisabetta Trenta interverranno nella commissioni Esteri e Difesa di camera e Senato.