Si è chiusa domenica a Roma la conferenza sulla Libia. Una conferenza che dovrebbe iniziare la pacificazione della Libia, che però alla luce del giorno dopo appare tutt’altro che iniziata.

Ieri si contano infatti almeno 9 morti e 35 feriti in violenti combattimenti scoppiati al mattino davanti all’ospedale di Tagiura, a est di Tripoli, tra due fazioni diverse della coalizione di miliziani già nota come Alba libica.

La tv al Arabiya aggiunge al resoconto di devastazioni di case, anche l’incendio del carcere locale e la conseguente evasione di massa dei detenuti.

L’agenzia di stampa Lana, vicina al governo riconosciuto internazionalmente di Tobruk, afferma che proprio domenica, mentre a Roma, alla Farnesina, si riunivano sul futuro della Libia, il Segretario di Stato Usa, John Kerry, rappresentati di 17 paesi, Onu, Unione africana e Lega araba, oltre a 15 rappresentati delle fazioni di Tripoli e Tobruk, a Sirte, capitale del califfato libico, venivano giustiziate due persone: un libico, accusato di spionaggio, e una donna araba accusata di stregoneria.

La notizia è stata smentita da Sirte ma confermata invece dal portale Alwasat secondo cui la «strega» giustiziata sulla piazza principale si chiamava Abeer ed era marocchina, mentre l’uomo, un palestinese di nome Walid Anwar Ibrahim, sarebbe stato ucciso per aver taglieggiato gli abitanti nel nome di Daesh senza autorizzazione.

Fonti attendibili o prove, non ce ne sono. E la «stregoneria» non esiste come reato neanche in Arabia Saudita ma altri reati di eresia e offesa alla religione islamica in una versione letterale della sharia possono essere utilizzati per punire pratiche mediche considerate non lecite o semplicemente una conservazione non ortodossa del Corano.

Le due sentenze di morte a Sirte possono poi essere lette come una risposta diretta agli annunci della Farnesina, dove Kerry, insieme al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, e all’inviato Onu, Martin Kobler, hanno promesso che entro 40 giorni si formerà un governo di unità nazionale con sede a Tripoli.

L’intesa prevede il cessate il fuoco immediato e l’apertura di corridoi umanitari, soprattutto verso Bengasi (Washington ha già promesso 330 milioni di dollari di primi aiuti). La sigla dell’accordo finale dovrebbe tenersi mercoledì a Skhirat in Marocco dove era stata raggiunta la prima intesa, annunciata dall’allora inviato Onu, Bernardino Leon, ora pagato profumatamente negli Emirati arabi uniti, finanziatori di Tobruk e quindi favoriti nel negoziato. La scorsa settimana a Tunisi era stata annunciata un’altra intesa last minute con la mediazione della Nato, poi subito smentita da Tripoli.

Tripoli, appoggiata dal Qatar e dalle milizie di Misurata, vuole rappresentare l’islamismo politico e moderato libico. Insieme a questo, un’alternativa politica, fiorita dopo gli attacchi della Nato del marzo 2011. Ma in realtà la Fratellanza musulmana libica né ha vinto le elezioni del 2012 né ha tagliato tutti i suoi legami con l’estremismo islamico.

Tobruk, appoggiata dal Cairo e dalla milizia di Zintan, vorrebbe rappresentare, sul modello egiziano, insieme il ritorno del vecchio regime di Gheddafi e le aspirazioni democratiche del 2011. Ma non è né l’una né l’altra cosa: Haftar non è il continuatore di Gheddafi e le leggi per riabilitare i gheddafiani vengono usate soprattutto per propaganda politica. Che i post-gheddafiani non si sentano rappresentati da Tobruk lo dimostra il fatto che a Sirte e Derna preferiscano ingrossare le fila dell’Isis piuttosto che dare credito ad Haftar.

Ieri dal Cairo, dove vive, Ahmed Gaddaf Addam, cugino di Muammar Gheddafi e responsabile politico del Fronte nazionale di lotta, in una lettera indirizzata a Matteo Renzi, cerca di accreditarsi a sua volta come nuovo leader gheddafiano, mentre il figlio del Colonnello, Hannibal, viene colpito da un mandato d’arresto in Libano per aver nascosto l’imam sciita Moussa al-Sadr.

Un accordo che crei un terzo governo o un governo fantoccio, favorirebbe un intervento internazionale sotto egida Onu o Nato con lo scopo di limitare l’avanzata dello Stato islamico in Libia, rafforzato dai nuovi arrivi dalla Siria, e già colpito dai raid aerei francesi e statunitensi.

Il Cairo ci aveva già provato usando il pretesto dello stop ai flussi migratori. Ora torna alla carica il ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, per il quale si tratta di far presto perché «l’Isis avanza verso i pozzi di petrolio libici». Tutti sembrano pronti ad intervenire in Libia, per un motivo o per l’altro.

E Roma riesce solo a chiedere una maratona diplomatica in vista di una conferenza internazionale di cui non si intravede la consistenza reale. Renzi del resto ha preferito il palcoscenico della Leopolda a quello della Farnesina con Kerry, lasciando solo Gentiloni.