Nella conferenza stampa di fine anno Draghi «non si è accorto» ieri che la Libia ha chiuso i rubinetti del gas e del petrolio. Eppure visto gli aumenti delle bollette energetiche la faccenda dovrebbe interessarci. Mentre vengono accantonate ufficialmente le elezioni presidenziali, la vera partita politica si concentra sulla nomina di un nuovo premier al posto Abdul Hamid Dbeibah. Il tutto senza che il nostro governo, impegnato alla Farnesina nell’annuale riunione con gli ambasciatori, appaia minimamente informato o interessato.

IN LIBIA LE GUARDIE petrolifere hanno imposto la chiusura di tre campi di idrocarburi. Oltre a El Sharara, il giacimento più grande del paese, c’è Wafa, co-gestito da Eni e assai rilevante per l’Italia. Il gas prodotto a Wafa arriva in Italia attraverso il gasdotto Green Stream: la pipeleine collega l’impianto di idrocarburi di Mellitah, sulla costa della Libia, a Gela, in Sicilia. Il Green Stream ha una capacità di 8 miliardi di metri cubi all’anno circa. Le attività sono state interrotte anche nel campo petrolifero di Hamada, gestito da Agoco, una sussidiaria di NOC, e nel campo di condensati di Wafa: in quest’ultimo giacimento opera Mellitah Oil & Gas, una joint venture paritaria tra Eni e Noc. Assieme alla Russia e all’Algeria, la Libia è uno dei principali fornitori di gas naturale e prodotti petroliferi dell’Italia. Ma per noi questo sembra un dato secondario.

IL PARLAMENTO LIBICO ha annunciato ufficialmente che tenere le elezioni presidenziali fissate fra 2 giorni «è impossibile». Il voto che avrebbe dovuto scegliere il nuovo capo dello Stato viene quindi ufficialmente rinviato, si dice il 24 gennaio ma tutto è ancora in alto mare. È partito anche un nuovo negoziato politico con un patto di consultazione fra il generale Khalifa Haftar e due politici misuratini, Fathi Bashaga e Ahmed Maitig. La comunicazione del rinvio del voto è contenuta in una lettera che il deputato Al Hadi Al Sagheir, capo della commissione elettorale, ha inviato al presidente del Parlamento, Agila Salah. Al Sagheir scrive: «È impossibile tenere le elezioni come previsto il 24 dicembre». Ma non specifica poi una data alternativa e non indica se il parere del Parlamento è che le elezioni vadano cancellate del tutto oppure convocate in maniera diversa, soprattutto dopo aver fatto chiarezza sulle diverse leggi che regolano in maniera confusa il voto e la candidabilità dei leader politici libici.

MENTRE A TRIPOLI si mobilitano ancora le fazioni con le milizie che prendono posizione, l’annullamento del voto ha coinciso con l’apertura di una nuova fase: in Egitto si sono incontrati il maresciallo Khalifa Haftar, l’ex vicepresidente Ahmed Maitig e l’ex ministro dell’Interno Fathi Bashaga. Gli ultimi due erano al vertice del governo guidato da Serraj che nell’aprile 2019 venne attaccato proprio dalle milizie del generale Haftar. Già il fatto che la riunione si sia tenuta in Egitto senza che l’Italia ne fosse informata la dice lunga su quanto poco contiamo ormai in Libia.

L’incontro replicato ieri a Bengasi fra i due politici dell’Ovest con Haftar e con alcuni candidati dell’Est è un segnale; al termine Fathi Bashaga, legatissimo alla Turchia, già ministro dell’Interno a capo dell’opposizione militare all’esercito di Haftar, ha fatto una «dichiarazione comune» (evidentemente concordata con l’ Egitto). Bashaga anche a nome di Maitig e di Haftar dice che la riconciliazione nazionale è un processo «irreversibile e inclusivo e la volontà degli elettori va rispettata».

L’INCONTRO SECONDO i libici ha un primo risultato: il 24 dicembre, con o senza il voto, scadrà il mandato del governo presieduto da Dbeibah. Il premier era diventato un rivale pericoloso sia per Haftar che per il due politici della Tripolitania. Due gli obiettivi comuni: silurare Dbeibah e Saif Gheddafi. Il patto fra i tre leader è che Dbeibah andrà sostituito con un altro primo ministro. Il secondo obiettivo della nuova «triplice alleanza» libica è la candidatura di Saif al Islam Gheddafi. I sondaggi hanno confermato che il figlio del Colonnello potrebbe ricevere un forte sostegno alle elezioni.

MA SAIF È SOTTO accusa alla Corte penale dell’Aja e soprattutto è visto come il nemico dall’ala radicale dei rivoluzionari libici. Così il nuovo governo che potrebbe nascere dall’incontro di Bengasi lavorerà per affossare questa candidatura. E tutto questo avviene senza che a Roma si dica una parola, come se la Libia fosse lontana mille anni luce. a. n.