Con la pandemia la diplomazia internazionale in Libia si è inabissata e parlano le armi che neppure il virus (pochi ancora i casi di contagio) e il Ramadan riescono a fermare. Il discorso dell’altra notte del generale Khalifa Haftar potrebbe sancire la spaccatura definitiva tra Cirenaica e Tripolitania.

Una dichiarazione roboante in cui si è autoproclamato capo assoluto ma che segnala il fallimento dell’offensiva contro Tripoli: la battaglia di Tarhuna, dove a sud est della capitale è sotto assedio di Sarraj e delle milizie turche di Erdogan, sarà decisiva per l’unità futura del Paese.

Se viene sconfitto sarà costretto ad arroccarsi in Cirenaica e a rivedere i suoi ambiziosi obiettivi, già ridimensionati dopo la ritirata dall’Ovest.

In realtà la situazione potrebbe diventare ancora più pericolosa. La chiave sta nella mentalità di Haftar e del suo principale sponsor, il principe ereditario degli Emirati Mohammed bin Zayed. Per questi due attori del fronte sostenuto da Egitto, Arabia saudita e Russia non ci sono alternative: o la vittoria o la sconfitta.

A Tripoli Haftar – che ha dichiarato nulli gli accordi di Skhirat per un governo nazionale – non è più ritenuto un interlocutore e circolano voci di un possibile accordo tra il presidente del parlamento di Tobruk, Aguilah Saleh, e Sarraj, per escluderlo. Se questo venisse confermato renderebbe furibondo e incontrollabile l’ex maresciallo di Gheddafi.

La Russia, che pure ha inviato mercenari e aiuti ad Haftar, da qualche tempo nutre su di lui seri dubbi. Putin non l’ha mollato ma sia lui che Lavrov si sono legati al dito lo sgarbo clamoroso del gennaio scorso quando venne invitato a Mosca e rifiutò di firmare la tregua.

La Russia in Libia e in Siria si gioca la sua presenza nel Mediterraneo. Come in Siria il concorrente principale è Erdogan ma proprio a Idlib russi e turchi stanno pattugliando congiuntamente l’area. Un segnale di collaborazione importante.

Il Cremlino, vista l’incapacità di Haftar, è più favorevole a una trattativa che non a una soluzione di forza. Inoltre ha mosso altre pedine mandando una delegazione siriana a trattare con Haftar l’invio di nuove milizie: un modo per sostenere il generale ma anche per tenerlo d’occhio. Senza contare che Assad sta rientrando nel consesso arabo e ha riallacciato rapporti con le monarchie del Golfo ritenute da Mosca essenziali per la ricostruzione siriana.

Haftar è pericoloso perché ha ancora il pieno appoggio degli Emirati che gli hanno messo a disposizione la tv Al Arabiya: qui è ospite fisso Al Mismari, il portavoce del generale che davanti alle mappe illustra conquiste e offensive che restano sulla carta. Con un’enfasi che la tv emiratina ha riservato soltanto all’occupazione di Aden da parte del Southern Transitional Council (Stc), sostenuto dal principe Bin Zayed: un’altra complicazione nella guerra per procura tra Iran e sauditi.

Non importa se poi le grandi manovre di Haftar vengono puntualmente smentite dai fatti, come è accaduto quando sembrava che il generale fosse sul punto di impadronirsi dell’Ovest e dei terminali Eni di Mellitah: quasi tutti sono cascati nella trappola mediatica degli Emirati.

Il nocciolo della questione è che finora Emirati, Egitto e Arabia Saudita, Russia – un po’ meno la Francia – ritengono che in Libia sia indispensabile l’uomo forte: l’obiettivo rimane la capitolazione di Tripoli e la fine dell’Islam politico con la cacciata dei Fratelli Musulmani. Cosa sempre più complicata perché l’arrivo della Turchia, che rifornisce di armi e droni Sarraj, ha mutato il quadro interno a Tripoli.

Con l’appoggio di Erdogan le milizie a maggiore contenuto ideologico islamista stanno tentando di prevalere sulle altre più legate ad attività puramente criminali. Sia chiaro: quelli che trafficano migranti non si sono certo fermati ma Ankara ha l’obiettivo di domare i cacicchi libici.

Sempre più nebuloso appare il ruolo dell’Onu e dell’Europa: le Nazioni Unite stanno ancora cercando di nominare un inviato e la missione navale e aerea Irini per applicare l’embargo alle armi è un ectoplasma. Haftar viene rifornito via aerea o via terra dall’Egitto mentre Sarraj e i turchi protestano che loro sono il governo legittimo e quindi si sentono penalizzati. Ma è una manfrina: tutti fanno quel che vogliono.

La guerra per procura libica è sempre più in mano agli attori esterni. Con il blocco dell’export di petrolio da gennaio il Paese perde due miliardi di dollari di entrate al mese e a fine anno le riserve valutarie saranno quasi esaurite.

Senza contare che con la pandemia e il calo drastico della domanda mondiale le quotazioni del barile sono crollate. Quando l’Europa e il nostro ministero degli Esteri alzeranno la testa dall’emergenza epidemia, troveranno sulla sponda Sud una Libia ancora più lontana.