Si è riunita ieri per la prima volta la Camera dei rappresentanti libica. Non lo ha fatto a Tripoli per le gravi condizioni di sicurezza ma a Tobruk, cittadina dell’est del paese, roccaforte dell’ex agente Cia, Khalifa Haftar, autore del golpe che nella primavera scorsa ha messo a soqquadro il già fragilissimo equilibrio della Libia post-Gheddafi. Il Congresso generale nazionale (Cgn), il parlamento uscente, a maggioranza islamista, ha dichiarato invalida la sessione, in un comunicato diffuso ieri. Secondo i parlamentari islamisti, che avevano prolungato il loro mandato, nonostante la scadenza di febbraio, generando proteste e contestazioni in tutto il paese, la prima riunione dell’assemblea avrebbe dovuto tenersi a Tripoli. Non solo, sarebbe dovuto essere il presidente del Cgn, Nouri Abou Sahmein, a convocare la riunione.

Nel corso della riunione di ieri, a cui hanno preso parte 170 dei 188 deputati (alcuni seggi non sono stati assegnati per irregolarità nelle procedure elettorali), i deputati hanno prestato giuramento e avviato le procedure per eleggere il presidente del parlamento. L’assemblea, in parte eletta lo scorso 25 giugno, nonostante la scarsissima partecipazione degli aventi diritto al voto, e a maggioranza laica, aveva tentato di riunirsi clandestinamente nei giorni scorsi con poco successo.

Il tentativo di ripristinare l’attività parlamentare appare quanto mai peregrino per l’aggravarsi della crisi che dilania il paese. La battaglia fra le milizie jihadiste, Scudo di Misurata, e i miliziani di Zintan, vicini all’ex generale, per il controllo dell’aeroporto della capitale, è ripresa ieri dopo una breve tregua. Dopo le 200 vittime degli ultimi giorni (35 corpi sono stati rinvenuti solo nella base delle forze di sicurezza di Bengasi, presa dai jihadisti la scorsa settimana), si contano altre 22 vittime negli scontri che proseguono all’interno dello scalo, andato completamente distrutto. Secondo il governo ad interim dell’ex ministro della Difesa Abdullah al Thinni, alcune cannonate hanno colpito le abitazioni intorno all’aeroporto, provocando la morte e la fuga di centinaia di civili. Gli abitanti delle maggiori città libiche soffrono da settimane della mancanza di prodotti alimentari, benzina, acqua, gas ed elettricità.

Continua poi la fuga di massa dalla Libia di stranieri. Alla frontiera tunisina di Ras Jedir, chiusa venerdì e sabato scorso, sono migliaia le persone in fila per attraversare il confine. «La situazione umanitaria è critica: centinaia di persone non hanno mangiato per cinque o sei giorni», ha denunciato il dirigente della Croce rossa locale, Mongi Slim. Non solo, traghetti e navi militari hanno evacuato 13mila filippini, così come centinaia di cinesi sono stati trasferiti via mare verso Malta. Anche Londra ha inviato una nave della Royal Navy per evacuare i cittadini britannici, mentre ieri era stata annunciata la chiusura dell’ambasciata del Regno Unito a Tripoli. Per permettere agli 800 italiani, residenti nel paese, di lasciare la Libia, secondo il vicepresidente del Copasir, Giuseppe Esposito, in un’audizione alla Camera su Medio oriente e Libia, «è stato aumentato il contingente italiano di stanza in Libia». «La situazione nel paese è pericolosa per flussi migratori e per le fonti energetiche», ha aggiunto Esposito.

Dal canto suo, l’Egitto ha attivato un ponte aereo con la Tunisia per rimpatriare i cittadini egiziani che hanno lasciato la Libia. Sono 10mila gli egiziani in fuga dai combattimenti in Libia. Molti di loro sono rimasti intrappolati per giorni al confine con la Tunisia. E così il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukri è volato a Tunisi. «Finora abbiamo evacuato circa 2.500 (egiziani, ndr). Non abbiamo statistiche ufficiali, ma in Libia ci sono tra i cinquemila e i 10mila egiziani» che sono ancora in attesa di partire, ha spiegato Shokry. Anche la Egypt Arab Contractors Company (Ac) ha fermato le sue attività in Libia e richiamato i suoi operai in Egitto per questioni di sicurezza. «La Ac ha sospeso tutti i suoi investimenti in Libia, pari a 4,2 miliardi di dollari», ha detto Salah. Secondo la stampa locale, i progetti della compagnia, incluse infrastrutture e reti autostradali, in Libia sono circa 85 miliardi di dollari.

La Libia è attraversata da un’instabilità politica cronica sin dal 2011. Sono oltre 1700 le milizie presenti nel paese, in cui circolano indisturbate enormi quantità di armi, dopo i sanguinosi attacchi della Nato e la morte violenta del colonnello Muammar Gheddafi, nell’autunno del 2011. Sin dal suo insediamento, il fragile governo islamista è stato incapace di disarmare i miliziani ed ora il paese è ormai sull’orlo del baratro.