E accordo è stato. Dopo rinvii e smentite, ieri pomeriggio le Nazioni Unite hanno dato l’atteso annuncio: i parlamenti di Tripoli e Tobruk hanno siglato l’accordo per la creazione di un governo di unità nazionale, unico mezzo – secondo Europa e Usa – per avviare la stabilizzazione di un paese nel caos da 5 anni.

Secondo quanto previsto dall’intesa firmata in Marocco, un consiglio presidenziale guiderà la formazione del nuovo esecutivo. Ne faranno parte nove personalità: tre rappresentanti di Tobruk, tre di Tripoli, due del Fezzan e uno della Cirenaica. Entro 40 giorni il consiglio dovrà redigere la lista dei futuri ministri così da permettere l’insediamento del governo. La Camera dei Rappresentanti di Tobruk avrà potere legislativo, il parlamento islamista di Tripoli funzioni consultive.

Il plauso occidentale è immediato. Tra i primi a commentare il successo è stato il ministro degli Esteri italiano Gentiloni che ha definito l’accordo «il primo passo di un cammino pieno di ostacoli». I principali sono dovuti alla presenza su tutto il territorio di milizie slegate tra loro, diventate potenti nell’assenza totale dello Stato dalla caduta del colonnello Gheddafi e oggi uniche autorità in buona parte del paese. Tanto che in Marocco non è stato possibile siglare un cessate il fuoco comprensivo. Da qui i dubbi di molti osservatori che giudicano l’accordo marocchino limitato perché stipulato solo da due dei tanti attori attivi in Libia. Sul campo restano le tribù e i loro uomini armati, i Tuareg, le milizie di Misurata, gli islamisti di Ansar al-Sharia e quelli dello Stato Islamico.

Tobruk e Tripoli non rappresentano la Libia di oggi e il timore prevalente è che un governo di unità creato su spinta dell’Occidente, senza una reale convergenza dei due parlamenti e senza la partecipazione dei poteri tribali, non possa durare a lungo. Ci sono solo 40 giorni di tempo per risolvere i problemi alla sicurezza nella capitale Tripoli, dove si immagina che il nuovo esecutivo avrà sede, con l’Isis a pochi chilometri di distanza (nel sito archoelogico di Sabrata) e milizie armate che da mesi combattono il parlamento di Tobruk. Sulla questione sicurezza in Marocco non si è trovato un terreno comune, seppure sia centrale: serve formare un corpo di polizia e un esercito unici che rispondano al governo di unità, in un paese in cui le forze armate meglio armate e organizzate sono quelle delle milizie nate nel post-Gheddafi.

A ciò si aggiunge il ruolo destabilizzante di figure centrali, come quella dell’ex generale Haftar (al servizio del governo di Tobruk, sostenuto dall’Occidente) che mercoledì ha ripetuto la necessità di cancellare l’embargo Onu sulle armi. Per ora la comunità internazionale ha ottenuto quanto voleva: l’accordo di ieri apre la strada all’intervento militare europeo. La Gran Bretagna e la Francia non intendono accantonare l’idea di un’operazione in chiave anti-Isis, sempre più vicina nel caso di un governo di unità. Londra è pronta inviare mille uomini, non per combattere – dice Downing Street – ma per addestrare le forze governative.

All’operazione si accompagnerebbe il sostegno finanziario al nuovo esecutivo e il rafforzamento del ricchissimo settore energetico libico (appetibile a tanti) per tenere insieme Tripoli e Tobruk.