Nella sala Caduti di Nassirya del Senato sono risuonate ieri le voci di chi si oppone al rifinanziamento della Guardia costiera libica. Da un lato gli organizzatori, le 32 associazioni che compongono il tavolo asilo e immigrazione: un pezzo consistente del terzo settore che riunisce le principali realtà nazionali (come Arci, Asgi, Acli, Emergency, Sant’Egidio) e alcune tra le più grandi Ong del mondo (ad esempio Oxfam, Amnesty, Intersos, Msf, Save The Children). Dall’altro la pattuglia di onorevoli pronti a votare No alla misura. Ieri sono intervenuti: Loredana De Petris ed Erasmo Palazzotto (LeU), Emma Bonino e Riccardo Magi (+Europa), Doriana Sarli, Gregorio De Falco, Yana Chiara Ehm e Paola Nugnes (ex M5S, ora al misto), Francesco Verducci (Partito Democratico).

Tra Camera e Senato alla fine dovrebbero essere una cinquantina quelli che rifiuteranno di «essere complici di un crimine», come hanno ripetuto diversi interventi. Si tratta del 5,3% dei 945 parlamentari eletti. L’esito della vicenda sembra quindi già scritto. «Almeno dobbiamo perdere onorevolmente», ha detto Filippo Miraglia, dirigente nazionale di Arci. Per questa situazione di debolezza Miraglia ha attaccato il Pd: «Non c’è una forza politica che faccia dei diritti umani una sua questione identitaria, mentre la destra costruisce consenso sulla loro negazione». Il principale partito di centro-sinistra aveva votato a febbraio 2020 una mozione, all’unanimità, contro i finanziamenti alla sedicente «guardia costiera» libica. Ma Enrico Letta, che pure nel 2013 ha messo in mare l’operazione Mare Nostrum da primo ministro, non ha dimostrato particolare interesse a discostarsi dalla linea prevalente nel governo. Tutto lascia credere che darà il suo Sì insieme a Matteo Salvini e al resto della maggioranza.

Secondo Paolo Pezzati, di Oxfam Italia, la vicenda del voto sul decreto missioni mostra che sono stati messi da parte i parametri che dovrebbero orientare le scelte politiche: «Si parla ormai solo di numeri senza considerare l’impatto che queste politiche producono sulla vita di migliaia di persone». Omicidi, torture, stupri, naufragi, sevizie, detenzioni arbitrarie. Sono queste alcune delle conseguenze concrete del flusso di denaro che parte da Roma e raggiunge le milizie libiche con lo scopo di ostacolare i flussi migratori: i milioni di euro passeranno dai 10 del 2020 ai 10,5 nel 2021 (lo ha denunciato Oxfam nei giorni scorsi). Le associazioni hanno inviato una lettera al premier Draghi per chiedere di cambiare rotta.

«L’Italia adotta una strategia politica per il contenimento di chi fugge dagli orrori libici. Pensate se si fosse deciso di “contenere” chi scappava dalla Germaniza nazista», ha detto Palazzotto. Il deputato di LeU ha anche denunciato la strumentalizzazione dei corridoi umanitari: posto che bisognerebbe evacuare con urgenza tutti i centri libici, ha sostenuto, le poche centinaia di persone che al momento riescono ad arrivare legalmente sono utilizzate dalla politica per spostare l’attenzione da ciò che accade nei centri di prigionia a terra e con le intercettazioni illegali in mare. Sono state circa 60mila dal 2017, anno della firma del memorandum italo-libico.

A chiamarle «respingimenti» è De Falco che punta il dito contro la nave della marina militare italiana di stanza al porto di Tripoli. «Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha detto che serve ad addestrare, riparare e sviluppare i mezzi a disposizione dei libici. Ma gli fornisce anche i sistemi di comunicazione per coordinare la cattura dei migranti. Sotto il profilo giuridico l’Italia è autrice di questi delitti, non complice. Stiamo facendo noi i respingimenti», ha detto.

Il voto sul decreto missioni è già calendarizzato alla camera, ma non ancora al senato. Andrà in aula il 15 luglio.