Stipendi bassi per i dipendenti pubblici, scontro continuo con l’Unione europea e zone «free Lgbt» in diverse zone del Paese. Da ormai quattro anni il governo polacco è in guerra contro buona parte della società, dalle minoranze alle femministe, passando per gli insegnanti e gli infermieri.

Pochi giorni fa l’ultima provocazione, annunciata da mesi e criticata anche dalla Commissione europea: una riforma della giustizia che sottopone la magistratura al controllo dell’esecutivo. L’ennesima manifestazione di un governo autoritario.

Per capirne di più, in una gelida domenica d’inverno, abbiamo intervistato Marta Lempart, attivista per la difesa della democrazia e leader di «Ogólnopolski Strajk Kobiet», lo Sciopero nazionale delle donne, il movimento che nell’ottobre 2016 ha organizzato proteste in tutto il Paese contro una proposta di legge antiabortista.

Cos’è il movimento «Ogólnopolski Strajk Kobiet» e com’è nata la protesta in difesa dei diritti delle donne?

È un movimento nato per lottare contro un disegno di legge anti-aborto del settembre 2016, presentato al Parlamento polacco dalla fondazione ultracattolica «Ordo Iuris»: il progetto ammetteva l’aborto solo in caso di rischio di vita per la donna. In pochi giorni ho creato un evento su Facebook, abbiamo scelto il colore nero come simbolo e indetto una manifestazione per lunedì 3 ottobre 2016, alle ore 16. L’idea era di organizzare la protesta ovunque, nel giorno peggiore e nell’orario più trafficato della settimana. Ola Jasionowska, artista polacca, ha creato un logo. Duecentocinquantamila donne hanno invaso 150 città e tutte le donne europee hanno smesso di snobbarci, italiane incluse.

Tutti questi eventi si sono svolti nel giro di poche settimane…

Sì, poi Klementyna Suchanow (scrittrice, traduttrice e femminista, ndr) ha organizzato lo sciopero internazionale delle donne l’8 marzo 2017, al quale hanno aderito 60 Paesi. Ci siamo riuscite anche grazie alle donne argentine, con le quali abbiamo un forte legame. Sapere che dall’altro lato del mondo si lotta non ci fa sentire sole. In tre anni abbiamo protestato con più di mille eventi. La campagna d’odio della Chiesa ci ha aiutato moltissimo: nelle città più piccole, molte donne non si sarebbero schierate se la Chiesa non le avesse attaccate così violentemente. Alcuni preti hanno detto ai bambini di una scuola «tua madre è un’assassina» solo perché ci sostengono.

Non esistono dati ufficiali, ma si stima che ogni anno dalle cento alle centocinquintamila donne ricorrano all’aborto illegalmente…

In Polonia si usano farmaci per abortire o si va all’estero. Da 2 mesi c’è un collettivo a Varsavia che è collegato con organizzazioni in Germania, Olanda e Inghilterra. Non è illegale andare all’estero e abortire, così aiutano queste donne e finanziano i viaggi. La situazione è grave anche per via degli obiettori di coscienza e per il difficile accesso alla pillola anticoncezionale.

Quali sono le altre ragioni che vi hanno spinte a scendere nelle strade?

Abbiamo quattro punti chiave: il primo è quello dei diritti in ambito riproduttivo e la legalizzazione dell’aborto; il secondo riguarda lo Stato laico, siamo anticlericali; il terzo, la lotta alla violenza. Il governo ha tagliato i fondi contro la violenza domestica e sequestrato i computer di due associazioni che difendono le donne. Il quarto punto la situazione economica: guadagniamo meno e abbiamo una pensione più bassa rispetto agli uomini. Il nostro programma è «Polonia per Tutti»: un paese governato dalla legge, diritti umani per tutti (donne, Lgbt, minoranze, anziani, persone con salario basso, disabili etc).

Com’è strutturato il vostro movimento? Da che tipo di ambiente ed estrazione sociale provenite?

Niente di ufficiale ma sappiamo chi fa cosa, dove e come. In ogni città o paese c’è un gruppo di persone di «Ogólnopolski Strajk Kobiet». Gente che fa gli striscioni, le foto, si organizza, e poi abbiamo Klementyna che tira uova alle macchine dei ministri. Va bene tutto ciò che funziona. Principalmente veniamo dalla classe media. Poche tra noi hanno un’istruzione elevata. La maggioranza ha un lavoro normale nel settore pubblico, nelle Ong o nel volontariato.

Le donne che protestano rischiano qualcosa?

A volte il contratto di lavoro non viene rinnovato. Un altro caso è quello delle Ong: all’improvviso non hai più una sede. Oppure gli arresti: la mia compagna è stata denunciata perché usava bolle di sapone durante una parata e la polizia ha seguito mia madre per giorni. Io ho dovuto chiudere l’azienda. Ho tante denunce, prima o poi cercheranno di fermarmi con qualche pretesto.

Lei ha mai ricevuto minacce o aggressioni fisiche? Si è mai sentita in pericolo di vita?

Mi hanno definita «un’elefantessa lesbica da eliminare». Sono dei codardi, se mi volessero attaccare lo farebbero in 5. Mio padre ha paura per me ma questi ragazzi mi fanno pena: a Varsavia, nel 2018, li abbiamo costretti ad andare a casa. Indossavano simboli di una brigata nazista che uccise 50 mila civili in 2 giorni. Cosa hanno in testa? C’erano i nipoti delle vittime di quel massacro, gente che ha sofferto.

La Chiesa polacca, i nazionalisti e i movimenti pro-vita sono apertamente contro di voi: perché?

Intanto vorrei dire che ho vinto la causa contro Jacek Miedlar (ex prete, nazionalista, ndr), il quale mi aveva denunciato per averlo definito neonazista. I nazionalisti e la Chiesa hanno legami stretti, manifestano insieme e odiano le donne. Io sarò per sempre antifascista. Dovrebbero lasciare la Polonia. La Chiesa e il governo hanno paura di perdere il controllo della società, delle persone e delle loro abitudini. Ma la gente non ne può più. Ho la convinzione che il partito PiS («Prawo i Sprawiedliwosc», il partito di governo, ndr) non si aspettasse il nostro successo. Invece si sbagliavano e questo li ha feriti. Ora ci temono.

Sono passati ormai tre anni dalla prima manifestazione dell’ottobre 2016. Quali sono i risultati ottenuti? E quali, invece, i prossimi passi?

Penso che sconfiggeremo la Chiesa e avremo uno Stato laico: aborto legale, matrimoni gay e così via. Oggi il 69% delle persone è per la legalizzazione dell’aborto, 3 anni fa era il 37%; il 52% delle persone è per i matrimoni civili, rispetto al 18% di qualche anno fa. Veniamo ai risultati: abbiamo fermato la messa al bando dell’aborto almeno due volte. Abbiamo dato coraggio alle donne e ravvivato il loro orgoglio, organizzato proteste contro la pedofilia. Sono molto orgogliosa.

Dunque anche la «condizione» delle donne migliorerà in Polonia…

Sì. Avremo l’aborto legale grazie al partito PiS. Ogni volta che protestiamo contro di loro e le restrizioni, il sostegno per la legalizzazione dell’aborto cresce. La stessa cosa per i diritti Lgbt. È una scelta antigovernativa, perché il governo odia i diritti umani come idea e odio chi protesta.

Con la collaborazione di Urszula Kurdej