Doppio successo per «Solidarietà senza confini», la manifestazione che ha chiuso cinque giorni di proteste contro il vertice dei G20 ad Amburgo.

Centomila per alcuni i partecipanti, 80mila per altri, 76mila nell’annuncio ufficiale degli scrupolosi organizzatori. Comunque tante e diverse persone hanno saputo sconfiggere la paura, creata da esponenti governativi e dai media nazionali e locali, dopo gli scontri della notte.

MIGLIAIA DI GIOVANI avevano infatti tenuto impegnate le forze dell’ordine per almeno quattro ore, tra venerdì e sabato, in un vero e proprio «riot urbano»: erette e incendiate diverse barricate nel quartiere di Sternschanze, la polizia tenuta lontana dal lancio di sassi e due supermercati interamente saccheggiati. Al di là del contributo di alcuni gruppi organizzati, è stato evidente il coinvolgimento attivo di migliaia di giovani abitanti di Amburgo, prevalentemente immigrati di seconda generazione, in una sorta di «carnevale di riappropriazione e autodifesa delle strade» dal dispositivo di militarizzazione, che si era visto all’opera negli ultimi giorni.
Solo verso le due del mattino gli apparati di sicurezza sono riusciti a riprendere il controllo della situazione: con ripetute cariche, l’uso degli idranti e il lancio massiccio di gas lacrimogeni e irritanti, ma anche con il rastrellamento di interi isolati, a mitra spianato, ad opera dei reparti speciali Sek.

PESANTE IL BILANCIO della nottata: secondo fonti ufficiali, sono 213 gli agenti feriti, un centinaio i manifestanti (ma molti hanno preferito rivolgersi per le cure alla Sani autogestita), per fortuna nessuno in modo grave, e 203 le persone fermate. Questo clima non ha scoraggiato, anzi, quanti si sono presentati, a partire dalle 11 di sabato mattina, in Deichtorplatz. La stessa composizione del corteo ha saputo esprimere tutta la ricchezza di contenuti della mobilitazione anti-G20. Ad aprire la marcia la rappresentanza delle delegazioni internazionali presenti ad Amburgo: tra questi i greci della rete Diktyo e del City Plaza occupato, i sindacalisti francesi di Sud-Solidaires, molti attivisti scandinavi e olandesi. Poi, forte di almeno 7.000 presenze lo spezzone delle comunità curde in Germania, molte donne e molti giovani, uniti sotto le parole d’ordine del «confederalismo democratico», pronti a difendere l’esperienza della Rojava autonoma e a denunciare le ambigue relazioni tra il governo Merkel e il regime del sultano Erdogan. Subito dopo, in più di diecimila, le attiviste e gli attivisti delle reti di movimento «post-autonome» tedesche, la «Sinistra Intervenzionista» e «Ums Ganze», protagonisti della giornata dei blocchi di venerdì e, a seguire, i gruppi autonomi e anarchici di «Welcome to hell».

PARTICOLARMENTE VIVACE, come da tradizione, il blocco dei tifosi del Sankt Pauli, il cui stadio è stato uno dei punti di riferimento per la preparazione nell’ultimo anno della protesta contro il vertice. Significativo lo spezzone dei movimenti dei migranti e delle associazioni di solidarietà, a partire da quelle impegnate anche nel Mediterraneo, come Sea Watch e Jugend Rettet, a marcare come la questione della libertà di movimento, dell’apertura dei confini e di un’accoglienza solidale e degna, sia tema decisivo di qualsiasi proposta politica globale. Poi arrivava l’arancione di Attac; le «tute bianche» dei movimenti contro i cambiamenti climatici e per una radicale conversione ecologica del sistema produttivo nella coalizione Ende Gelände; le bandiere rosse del partito die Linke; gli striscioni del sindacato Ver.di, dei metalmeccanici della Ig Metall e di alcune sezioni della stessa confederazione Dgb.

Un arcobaleno di colori e di proposte di rottura con il modello rappresentato dai Venti Grandi e in sostanza difeso da un corteo, «Hamburg zeigt Haltung», convocato dai socialdemocratici e associazioni collaterali in nome di un generico «sostegno ai diritti umani», che avrebbe voluto controbilanciare le contestazioni, ma che ha raccolto circa 4mila partecipanti.

DA SEGNALARE provocazioni della polizia: un attacco con gli idranti ai margini della piazza conclusiva e, soprattutto, diversi controlli, perquisizioni e fermi nei confronti di attivisti che venissero riconosciuti come «italiani, francesi o spagnoli». Inutili arroganze, a lavori del summit ampiamente conclusi, di cui ha fatto le spese anche l’europarlamentare della Lista Tsipras, Eleonora Forenza (poi rilasciata; mentre scriviamo altre persone sono ancora in stato di fermo).

Ma al di là di questo, la riuscita della manifestazione della «Solidarietà senza confini» ha degnamente concluso una settimana di mobilitazione e lotta capace di mostrare, in modalità assai differenti fra loro, un campo ricco di proposte alternative all’esito, semplicemente disastroso, del vertice dei G20. Come tali conflitti e tali alternative siano capaci di connettersi, convergere e costruire forza comune, in modo da riequilibrare, se non rovesciare, i rapporti di potere dati, è questione strategica ancora tutta da affrontare.