Quest’anno ricorre il 50° anniversario della morte di Galvano della Volpe. Per l’occasione viene ripubblicato uno dei testi più famosi dell’intellettuale di Imola: La libertà comunista. Saggio di una critica della ragion pura pratica, a cura di Michele Prospero (Bordeaux edizioni, pp. 156, euro 22. Il volume sarà presentato alle ore 18.30 di oggi al Palazzo delle Esposizioni di Roma da Michele Prospero, Pio Marconi, Bruno Gravagnuolo e Daniela Preziosi ).

Il titolo mette in evidenza un contrasto (quello fra la libertà e i modi di realizzazione storica del socialismo) che è, però, anche un contatto: libertà e comunismo. Porre attenzione a questo contrasto-contatto consente una riflessione intorno alla teoria politica che va al di là della riconsiderazione di una fase superata (dal 1917 al 1989) impegnando in riflessioni che sono di lungo periodo.

IL TESTO di della Volpe può oggi essere letto nell’ottica di una riproposizione del comunismo come l’orizzonte dell’umanità in questi nostri tempi che sono, francamente, «molto bui»?

Il libro, oltre a interrogativi attuali come quello appena posto, affronta altri problemi, di natura più strettamente teorica: i limiti dello Stato, cosa si debba intendere per legalità socialista, come il marxismo possa recuperare Rousseau e Kant. Proprio su quest’ultima questione è evidente l’assoluta presa di distanza di della Volpe da possibili letture nel senso della contaminazione del marxismo, e del comunismo, con altre tradizioni di pensiero politico-teoriche, nella convinzione che il marxismo sia, proprio rispetto a quelle tradizioni, un’alternativa radicale.

Proprio su questo tema ci fu il punto di attrito fra l’impostazione dellavolpiana e quella della tradizione gramsciana, che trovava una collocazione precisa nella politica culturale del Pci togliattiano.

LA RILETTURA oggi di questo testo, anche grazie all’ausilio della esauriente Introduzione di Prospero intitolata Logica e società in Galvano della Volpe, non fa scomparire il nocciolo problematico e il nuovo orizzonte dalla «libertà comunista», al di là di qualsivoglia fuorviante riferimento all’attualità oppure all’inattualità del testo, un tentativo di apertura di un orizzonte nuovo di confronto.

Infatti, a ben vedere, la «libertà comunista» di della Volpe sembra porsi come una sorta di medietas fra la libertà negativa e quella positiva; se la prima è «libertà da» e la seconda «libertà di», affinché la loro stessa definizione non si collochi nel territorio della metafisica e delle astrazioni, in un luogo quasi iperuranico e trascendente, è necessario che esse siano esito di un atto umano che si compie a livello della storia.

«LIBERTÀ È UNIVERSALITÀ», scrive della Volpe, ossia è la conquista di uno spazio da parte di soggetti che si muovono sul terreno concreto della storia. E proprio su questo punto decisivo in cui si definisce la «libertà comunista», della Volpe è integrato da quel Gramsci da cui sembra essere lontano anni luce. Il teorico e dirigente comunista fa presente, in una nota dei Quaderni del carcere, che il singolo non può essere concepito come isolato ma nell’universo delle possibilità che a lui vengono offerte dagli altri individui nella «società delle cose».

IL SAGGIO INTRODUTTIVO di Prospero consente di ripercorrere il cammino teoretico di della Volpe, quasi un romanzo filosofico di formazione, che precede la stesura del testo sulla «libertà comunista», che è del 1946.

Il filosofo di Imola, a detta di Prospero, si avvia lungo la strada che conduce a Marx mentre si cimenta con Aristotele e Platone, con Hume e Kant; e per quanto questo percorso si proponga come unitario, non è possibile sostenere (sembra questa la tesi di Prospero) che nelle opere premarxiste di Galvano della Volpe ci fossero dei «precorrimenti».

PUR SOTTOLINEANDO i pregi e non sottovalutando i difetti della teoria politica dellavolpiana, la conclusione cui perviene Prospero è abbastanza chiara: «Con la dissoluzione del dellavolpismo entrava in crisi la sola corrente del marxismo in grado di delineare schemi di analisi realistica». All’affermazione apodittica del curatore del volume si vuole pacatamente obiettare che il dellavolpismo è stato un’articolazione del marxismo stesso piuttosto che un’alternativa radicale alla direzione assunta dalla ricerca marxista nell’Italia del secondo dopoguerra.