Lo scrittore Stefano Tassinari mi parlava spesso dei suoi giri di presentazioni in Sardegna, e la rete di librerie indipendenti che sono una vera forma di resistenza politica e culturale, lì più che altrove, ma non si erano mai create le condizioni affinché potessi fare insieme a lui, infaticabile promotore del lavoro degli altri, uno di quei tour. Poi lo scorso anno sua moglie Stefania mi mise in contatto con Luciana Uda della Libreria Emmepi di Macomer, che in poco tempo organizzò con un passaparola questo viaggio insieme a Liberos, e i primi di novembre ero già a Cagliari con Mario Peddio, proprietario della Mieleamaro, che da anni gira in lungo e il largo l’isola come venditore della Feltrinelli, appassionato come pochi.

Dopo la presentazione finimmo a mangiare con gli altri ragazzi della libreria in un ottimo ristorante del centro che cucinava pesce, e il giorno seguente partimmo in auto per Carbonia dove mi aspettava Anna Lai di Lilith, che aveva organizzato un incontro in biblioteca. Per uno scrittore di reportage queste sono vere e proprie immersioni, delle calate nelle segrete dell’Italia invisibile, esclusa dalle rotte spettacolari dei media, un osservatorio mobile dove percepire gli umori più intimi e segreti del Paese reale. A Carbonia mi colpì molto la crisi del lavoro del Sulcis, la provincia più povera d’Europa, 130mila abitanti e 30mila disoccupati, 40mila pensionati dell’industria, ultima risorsa per la sopravvivenza sociale, lì dove c’era il bacino del carbone, e nei siti dell’iglesiente quello metallifero di Flumini, Bugerru, fino ad Arbux e Ingurtoso: da metà dell’800, con le concessioni regalate a padroni francesi, belgi e tedeschi, è stata terra di conquista, un piccolo far west del capitalismo europeo, poi sito energetico nevralgico dell’autarchia mussoliniana, quando la città fu costruita nel 1938 intorno alla miniera di Serbarìu, fino agli anni ’70 quando il distretto minerario ha cominciato a perdere mercato, sono iniziate le chiusure e la crisi, che qui c’è sempre stata insieme alla rara capacità di resistenza di questa gente rocciosa, abituata alla fatica e alle lotte sociali.

La sera tornammo a Cagliari da dove ripartimmo il giorno seguente con il sole per il nord della regione. Fui accompagnato da Francesca Casula (una delle anime di Liberos) fino a una località intermedia dove mi aspettava Luciana, una libraia venuta come molti di noi dai movimenti degli anni ’70, malinconica e tenace. Arrivammo a Macomer che faceva molto freddo e pioveva, alloggiavo da un affittacamere nella via principale, in una matrimoniale da commedia all’italiana con il letto in ottone smaltato, e l’incontro al Centro servizi culturali del pomeriggio fu molto partecipato. Il giorno seguente era domenica, fui invitato a pranzo dalle mie amiche libraie a casa loro in una palazzina della periferia. Finii il mio giro i giorni seguenti ad Alghero, alla piccola libreria-enoteca Cyrano, poi a Sassari, che ancora pioveva e pioveva, chiuso in un bed and breakfast nel centro storico a leggere il romanzo fluviale di Francesco Pecoraro La vita in tempo di pace, prima di fare l’incontro in una saletta della attivissima libreria Dessì.

Molti scrittori italiani potrebbero raccontare viaggi comunitari come questi organizzati da Liberos, un progetto nato in Sardegna per costruire nuove socialità a partire dal libro, e un modo per promuovere la lettura in tutto il territorio regionale. Viaggi che loro chiamano degli «Scrittori a piede Liberos», per i quali curano la programmazione, l’ufficio stampa, gli spostamenti, e sono qualcosa di diverso dalla promozione commerciale di un prodotto, ma favoriscono relazioni, facendo scoprire aspetti dell’isola per molti sconosciuti, e anche autori che difficilmente l’industria culturale avrebbe portato da quelle parti. Con un valore politico aggiunto nel ricostruire una rete fatta soprattutto di librerie indipendenti, oggi minacciate dai colossi come Amazon, dove resiste un’idea della lettura non omologata, dal pensiero ribelle e più colta, e di luoghi come biblioteche, piazze di piccoli paesi, coniugando cultura, etica e sostenibilità economica. La scelta del nome «Liberos» nella variante logudorese del sardo, e in un gioco di parole significa «libri» ma anche «liberi», filosofia di una iniziativa che coinvolge editori, scrittori, librai, bibliotecari e lettori in un circuito etico e virtuoso.
Adesso il progetto, che due anni fa vinse il premio Che-Fare, lancia un equity crowdfunding su SmartHub (http://www.smarthub.eu/projects/32/liberos) per essere esportato fuori dai confini sardi, in Italia e in Europa, che si concluderà il 7 febbraio. Non lasciamoli soli.