Pagare per leggere o pagare per scrivere: questo è il dilemma. Intorno al paradossale quesito la comunità scientifica europea si sta dividendo. L’interrogativo però cela una potenziale rivoluzione dell’informazione scientifica a livello globale, che va sotto il nome misterioso di «Piano S».
Il Piano in realtà non ha nulla di segreto: è stato anzi annunciato in pompa magna da undici tra le maggiori istituzioni scientifiche europee, che tutte insieme rappresentano un budget per la ricerca pari a quasi otto miliardi di euro, a cui si sono aggiunti due big della ricerca no-profit, la Gates Foundation e il Wellcome Trust. Tra gli aderenti c’è anche il nostro Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Aderendo al Piano S, questi enti di ricerca si impegnano a rendere accessibili al pubblico gratuitamente (open access in inglese) le pubblicazioni riguardanti ricerche finanziate da denaro pubblico. A questo scopo, i ricercatori degli enti saranno obbligati a pubblicare solo sulle riviste che garantiscono il cosiddetto Gold Open Access. Questa denominazione richiede una premessa.

TRADIZIONALMENTE, le ricerche scientifiche vengono pubblicate da riviste specializzate come Nature e Science. Ma sono immediatamente visibili solo agli abbonati: si tratta perlopiù di università ed enti di ricerca si sobbarcano costi notevoli per gli abbonamenti per garantire l’accesso a studenti, docenti e ricercatori. Circa il 40% delle riviste funziona così. Secondo una ricerca del 2014, per abbonarsi alle principali riviste un’università paga mediamente circa due milioni di euro l’anno.
Questo sistema editoriale è molto criticato. Il mercato è spartito tra pochi gruppi editoriali che hanno il potere di fissare prezzi ritenuti eccessivi. Inoltre, dato che gran parte delle ricerche sono realizzate con fondi pubblici, è paradossale che la cittadinanza paghi una seconda volta per leggere ricerche che ha già finanziato. Le riviste tradizionali si difendono adducendo i costi necessari a garantire un elevato standard di qualità. Eppure, il lavoro di revisione è in gran parte gratuito, e le tecnologie informatiche limitano notevolmente i costi editoriali.
Da anni si sperimentano strade alternative per garantire il libero accesso alle ricerche. Il modello di open access più diffuso ribalta i costi editoriali: non comporta abbonamenti per i lettori, ma chiede agli autori di pagare una tariffa per pubblicare un articolo. Il prezzo varia da poche centinaia ad alcune migliaia di euro secondo il prestigio della rivista. Questo è il modello denominato Gold open access ed è adottato da circa il 15% delle riviste scientifiche.

NEL MEZZO tra tradizione e innovazione, molte riviste stanno sperimentando un modello ibrido. Dato che una pubblicazione più visibile accresce il prestigio accademico dell’autore, questi può decidere se pubblicare secondo il modello tradizionale o rendere pubblica la propria ricerca (a pagamento). Questa strategia sta rapidamente diventando maggioritaria, seguita dal 45% delle riviste scientifiche.
A fianco al sistema delle riviste, si è poi sviluppato un settore di archivi digitali su cui i ricercatori possono mettere i propri articoli a disposizione del pubblico, anche dopo averli pubblicati su riviste tradizionali. Si chiama green open access ma è piuttosto fragile, perché spesso sfocia nella violazione dei copyright delle riviste che in genere impongono un periodo di «esclusiva» sulle pubblicazioni.

IL «PIANO S» RAPPRESENTA una decisa presa di posizione da parte di alcuni grandi enti di ricerca a favore del Gold Open Access. Stabilisce dieci principi in base ai quali entro il 2020 tutte le pubblicazioni degli enti di ricerca dovranno essere liberamente a disposizione di chiunque. Anche se le ragioni del libero accesso sono decisamente condivisibili, alcuni dei punti del decalogo hanno suscitato grandi discussioni tra i ricercatori. A far litigare è soprattutto il punto 9: «il modello di pubblicazione ibrido non è compatibile con i principi (del piano S)». Quindi, stop a chi pubblica su quella quota di riviste che ricevono soldi dagli abbonamenti ma anche dagli autori che vogliono rendere aperte le loro pubblicazioni.

MOLTE REAZIONI negative al Piano S, come quelle degli editori delle riviste tradizionali, erano ampiamente prevedibili. Ma non tutte le critiche sono infondate. Ad esempio, sta circolando parecchio una lettera aperta scritta dalla chimica Lynn Kamerlin dell’università svedese di Uppsala, a cui hanno aderito finora quasi 1400 ricercatori. Kamerlin è una sostenitrice dell’Open Access, ma ritiene che i principi del Piano S siano controproducenti. A suo avviso, spostare totalmente sugli autori le spese delle pubblicazioni potrebbe addirittura aumentare il costo globale della circolazione dell’informazione scientifica e le disparità tra paesi ricchi e poveri. Inoltre, il principio della pubblicazione a pagamento è a forte rischio di manipolazioni, perché le riviste potrebbero abbassare lo standard scientifico per accettare più proposte di pubblicazione. Inoltre, mentre i sostenitori del Piano S rinunceranno agli abbonamenti per finanziare le pubblicazioni a pagamento, molti altri enti di ricerca mondiali continueranno a leggere e a pubblicare sulle riviste tradizionali.

C’È IL RISCHIO DI SPACCARE la comunità scientifica in due ambiti separati e in competizione, ciascuno con le sue riviste, e questo frenerà la circolazione della conoscenza invece di facilitarla. Infine, sanzionare i ricercatori che scelgono di pubblicare su una rivista «bandita» dal Piano S appare una violazione della libertà di espressione. Secondo i firmatari il libero accesso alle ricerche potrebbe essere realizzato anche con strategie più flessibili, senza rinnegare le pubblicazioni ibride e facendo un uso più esteso degli archivi aperti online.
Altre critiche al Piano S infine adombrano interessi più oscuri. Secondo il giornalista free lance Leonid Schneider, che ha ospitato la lettera aperta sul suo blog For Better Science, la rigidità del Piano S deriva da uno strano rapporto tra l’ideatore del piano, il delegato della Commissione Europea per l’Open Access Robert-Jan Smits e «Frontiers», uno dei principali gruppi editoriali a libero accesso. Schneider ha rivelato un lungo rapporto epistolare tra Smits e Kamila Markram, amministratrice delegata di Frontiers, da cui si evince che il gruppo editoriale avrebbe partecipato direttamente all’elaborazione del Piano.
In realtà, il Piano S ha molti padri. Uno dei principali ispiratori è stato il progetto Scoap³ (Sponsoring Consortium for Open Access Publishing in Particle Physics), nato nel settore della fisica delle alte energie e sostenuto da Cern, dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e dal Joint Institute for Nuclear Research e oggi raccoglie adesioni da enti di ricerca, riviste e biblioteche di 44 paesi nel mondo. Scoap³ mira a facilitare la transizione verso il libero accesso attraverso un’economia circolare.

RACCOGLIE CONTRIBUTI da governi ed enti di ricerca e li gira alle riviste per sostenere l’open access; in cambio esse accettano di abbassare i costi degli abbonamenti. In questo modo, Scoap³ concilia le ragioni dell’accesso con quelle dell’equità economica tra ricercatori ricchi e poveri. Dato il suo ruolo centrale nelle attività del Cern, l’Infn è uno dei principali fautori del progetto Scoap³ e ora del Piano S. Stefano Bianco, coordinatore del gruppo di lavoro sull’Open Access dell’Infn, smorza le polemiche: «Molte delle critiche al Piano S sono strumentali – dice – i 10 principi escludono le pubblicazioni su riviste a pagamento ibride, che fanno pagare cioè sia gli abbonamenti sia i diritti di pubblicazione e promuovono l’uso degli archivi gratuiti online». Inoltre, assicura, «siamo consapevoli dell’importanza di pubblicare su riviste prestigiose, soprattutto per i ricercatori più giovani». Perciò nelle linee guida applicative del Piano (che verranno annunciate proprio martedì 27 novembre a Bruxelles) questi temi avranno la dovuta considerazione.
Da sempre il rapporto tra comunità scientifica e società si fonda su un delicato equilibrio tra cooperazione e competizione, apertura e meritocrazia – almeno da quando l’Illuminismo l’ha liberata da ingerenze politiche e religiose. Il dibattito sull’Open Access è dunque un episodio di un conflitto antico e forse ineliminabile, che in quanto tale è bene tenere aperto senza cedere alla tentazione di soluzioni definitive.