Pandemia sanitaria o pandemonio economico-politico? Per quanto riguarda l’America Latina, la risposta che danno gli analisti è unanime: entrambi.

Nella giornata di martedì (28 luglio) sono stati contabilizzati nel subcontinente un totale di 4.361.000 contagiati confermati (2.419.000 solo in Brasile) accumulati in quattro mesi. Più di 190.000 le vittime. E non vi sono previsioni che la curva di contagio possa essere contenuta in tempi brevi, soprattutto per la politica sostanzialmente negazionista del presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Una strage annunciata.

Nemmeno sul pandemonio economico vi sono dubbi. Le previsioni della Commissione economica per l’America latina e il Caribe (Cepal) indicano una caduta del Pil del 5,3%, la “peggiore di tutta la storia”, compresa la Grande Depressione del 1930 (-5%). Le persone in situazione di povertà aumenteranno di 29 milioni di unità, raggiungendo il tetto di 216 milioni di cittadini. La povertà estrema passerà dall’11 al 13,5%: più di 60 milioni di persone che soffrono la fame.

Per quest’anno si prevedevano 37,7 milioni di disoccupati in più su una popolazione globale di 465 milioni, ma più del triplo saranno i sottoimpiegati o le persone che vivono del mercado informal (economia sommersa). La realtà ha però superato anche queste catastrofiche previsioni. Solo in Brasile vi sono 80 milioni di disoccupati, ovvero il 50% della forza lavoro, secondo quanto ha dichiarato Joao Stedile, leader del Movimento dei senza terra.

Queste cifre sono frutto del modello di sviluppo neoliberista imposto alla regione a causa della sua subordinazione agli Stati uniti. Solo per restare nell’ambito della salute è noto che in gran parte dei paesi dell’America latina chi non dispone di soldi non ha accesso a un’assistenza sanitaria efficiente. Gli effetti della privatizzazione della salute si possono comprovare facendo riferimento alle statistiche che indicano la speranza di vita o il tasso di mortalità infantile dei vari paesi del subcontinente. Come pure sono evidenti i disastri economici e sociali prodotti dalla gestione neoliberista della pandemia in paesi come Colombia, Ecuador, Perú, Bolivia e Cile. O gli effetti del negazionismo e dell’autoritarismo del vertice politico brasiliano.

Nonostante questi fatti, una serie di governi neoliberisti -Colombia, Ecuador, Perú, Bolivia, Cile, Brasile- cercano attivamente di approfittare del contesto di emergenza economico-sanitaria dovuta al Covid-19 per rafforzare il carattere autoritario delle loro politiche, far avanzare riforme promercato, attuare un’ulteriore precarizzazione del lavoro e un aumento del controllo sociale. Un rafforzamento autoritario particolarmente pericoloso si registra nei paesi dell’America centrale (compreso il “socialista” Nicaragua), regione spesso tenuta al margine delle analisi continentali. Il tutto in un quadro di intensificazione dell’offensiva dell’imperialismo nordamericano nel subcontinente, particolarmente feroce contro Venezuela e Cuba (gli unici paesi che hanno privilegiato la vita rispetto al capitale).

Su questa pericolosa situazione devono riflettere le forze di sinistra latinoamericane. Perché conseguenza anche degli errori commessi all’inizio del secolo, negli anni della cosidetta “marea rosa”, quando in gran parte dell’America latina erano al governo forze socialiste o progressiste (Venezuela, Ecuador, Bolivia, Uruguay, Paraguay, Argentina, Cile, Nicaragua, San Salvador).

Forze che hanno impostato la loro governance credendo che fare “buone politiche” per la gente – gli esempi più evidenti sono la notevole riduzione della povertà ottenuta in Brasile e Argentina dai governi di Lula e della Kirchner- fossero sufficienti a creare una nuova coscienza e un appoggio convinto alle politiche progressiste. Così non è stato. Come hanno dimostrato i rovesci subiti dal 2015 in poi o per via elettorale o mediante golpe militari o “istituzionali” – Bolivia e Brasile.

Secondo l’analisi di Perry Anderson (New Left Review), le forze progressiste sono arrivate al governo in un momento in cui avevano perso, – per citare Fidel Castro- “la battaglia delle idee”. E’ vero che il modello economico neoliberista aveva fallito creando le condizioni per l’arrivo al governo di forze progressiste, ma “le idee e i valori (del neoliberismo) avevano raggiunto –grazie al dominio sui mass media- una grande diffusione e egemonia nella società”. Le forze progressiste non sono riuscite a abbozzare un modello globale latinoamericano alternativo al neoliberismo.

Organizzazioni di integrazione regionale come Unasur, Petrocaribe, Celac, Alba disegnate da Hugo Chavez in collaborazione con Cuba si sono dimostrate strumenti utili per creare una nuova America latina, ma non sono riusciti a consolidare nuovi paradigmi e strategie.
Non si tratta di una questione di teoria ma di attualità politica. Si stima che un totale di 140 milioni di latinoamericani vivono di economia sommersa. Vi sono paesi nei quali il 50% dei lavoratori vive alla giornata vendendo nelle strade.