I semi possono racchiudere al loro interno la forza vitale e la variabilità necessaria a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. E non solo. Alla riduzione della variabilità e alla erosione della biodiversità, alla uniformità delle varietà indotte dal modello industriale degli ultimi cento anni e più, sono legati i problemi produttivi, malattie e criticità che affliggono le colture moderne.
La biodiversità è un bene comune e questa è di per sé una ragione essenziale affinché venga universalmente protetta, sostenuta e custodita. Parte dai semi, attraversa le colture, prende in pieno la salute umana – inferendo innanzitutto sul microbiota intestinale – e animale, e torna ancora una volta ai semi.

Semi e organismi vegetali prodotti dalla ricerca (frutta, verdura, cereali), uniformi, privati di ogni variabilità, identici l’uno all’altro, si sono dimostrati geneticamente deboli soggetti di continuo ad attacchi di nuovi agenti patogeni, nemmeno così in grado di rispondere alle esigenze estetiche dei mercati. Arrivano sulle nostre tavole impoveriti da quegli elementi nutritivi che costituiscono la biodiversità del microbiota intestinale, necessaria preservarci dalla lunga serie delle malattie autoimmuni e dal continuo emergere di nuove forme tumorali.

Gli agricoltori, i contadini (che sono altro rispetto agli imprenditori agricoli), in quanto custodi naturali dei semi, della terra e della salute, svolgono un ruolo di fondamentale importanza per i diritti che riguardano la sicurezza, la serenità alimentare, quella energetica, ambientale e quindi la biodiversità. Un ruolo, quello dei contadini e delle sementi tradizionali non brevettate, non soggette a ibridazione o a manipolazione genica, poco apprezzato, pressoché disconosciuto, scarsamente tutelato dai governi.

Un dato per tutti. Il 97% dei finanziamenti destinati all’agricoltura, nonostante le numerosissime evidenze scientifiche è destinato a quel modello agricolo industriale che è stato causa del deperimento e desertificazione dei suoli, inquinamento della falda, della perdita della biodiversità vegetale e animale. Ai contadini e alle aziende che producono secondo il modello biologico, biodinamico e più in generale secondo l’approccio agroecologico, a chi sostiene la biodiversità, spesso a proprie spese, va a mala pena il restante 3% dei finanziamenti. Briciole, soprattutto se si considerano i risultati di un settore in perenne crescita da oltre vent’anni.

Un ostacolo a tutto ciò è rappresentato dagli interessi di corporazioni e lobby presenti nei parlamenti e nei governi. Le sole industrie sementiere rappresentano un fatturato di 50 miliardi di dollari annui circa, ovvero l’1% del settore alimentare globale. Queste frappongono non pochi ostacoli (registrazioni, royalties, brevetti, leggi ad hoc), alla libera circolazione dei semi e ai contadini custodi. Si tratta degli stessi attori che rientrano negli asset societari e finanziari dell’agrochimica, con la produzione di pesticidi, da sempre imparentata con l’industria delle armi. Asset che ci riporta indietro nella storia fino alle guerre mondiali e alle teorie eugenetiche sperimentate nei lager nazisti. Un sistema corporativo che sostiene un mercato mondiale, quello dell’agroindustria, del valore di centinaia di miliardi di dollari all’anno.

La rivoluzione verde, vale a dire l’agricoltura industriale, di verde e di rivoluzionario ha avuto a mala pena il nome e la retorica della propaganda di una missione miseramente fallita che ha lasciato alle future generazioni enormi disastri ambientali e sanitari a cui porre rimedio. Non ha risolto i problemi dell’agricoltura, né ha colmato i bisogni alimentari del pianeta, a cominciare dalla fame nel mondo, che secondo le organizzazioni internazionali, dal 2015 è tornata ad aumentare. Ciò nonostante trova per evidenti interessi economici il sostegno di ben identificate frange politiche. Feroci per quanto minoritarie.

Nelle «secrete stanze» del parlamento, lungi da ogni percorso di confronto e condivisione, ristretti gruppi di interesse, consapevoli che gli Ogm sono obsoleti e non interessano più ai mercati e prima ancora all’industria, poiché anche questi hanno fallito il loro obbiettivo finanziario, scientifico e produttivo, stanno premendo per consentire l’applicazione in pieno campo delle nuove biotecnologie (NBT, genome editing, RNA silenziatori, cis-genetica, ecc). Anche e prima ancora in sede Ue si discute come consentire le coltivazioni derivate da NBT, bypassando anche in questa sede ogni forma di democrazia.