«Sono stato liberato da pochi minuti, dopo ore di attesa. Per ora preferisco non fare dichiarazioni, devo consultarmi con il mio avvocato per evitare che le mie parole possano essere usate contro di me». Sono state queste le prime frasi che ci ha detto ieri sera Vittorio Fera, 31 anni, appena uscito dalla prigione israeliana in cui è rimasto recluso per tre giorni fino al processo che si è svolto ieri mattina a Gerusalemme. Accusato dagli israeliani di aver preso parte a “disordini violenti” e di “aver tirato sassi all’esercito”, durante la manifestazione settimanale contro il Muro che si tiene nel villaggio cisgiordano di Nabi Saleh, Fera ha seccamente smentito le accuse. L’attivista italiano ripete che stava soltanto documentando ciò che accadeva davanti ai suoi occhi, quando è stato fermato e ammanettato con brutalità da soldati israeliani, come mostrano le immagini circolate in rete e trasmesse anche da alcune televisioni italiane. Fera è stato liberato solo dopo il pagamento di una cauzione e non potrà lasciare Gerusalemme e Israele fino all’8 settembre quando è prevista la lettura della sentenza.

 

«Siamo preoccupati, temiamo brutte sorprese» ci diceva ieri sera Neta Golan, tra i fondatori dell’International Solidarity Movement, l’associazione di attivisti di ogni parte del mondo a sostegno del popolo palestinese, alla quale Fera di solito si appoggia durante la permanenza in Cisgiordania. «Presto potrebbe intervenire il ministero degli interni per preparare la deportazione di Vittorio. Questi otto giorni che mancano alla sentenza sono decisivi per valutare le intenzioni delle autorità», ha aggiunto Golan. È probabile che l’attivista italiano sia condannato alla deportazione, con l’aggiunta del divieto di ingresso in Israele e Territori palestinesi occupati per un certo numero di anni. Nei giorni scorsi a favore di Fera sono intervenuti Sel e M5S. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha detto che «la presenza di persone attente e sensibili impegnate in azioni di testimonianza non violenta nei Territori occupati della Palestina sono una risorsa necessaria per tutta la comunità internazionale». «Vittorio Fera – ha aggiunto De Magistris – era impegnato in questo prezioso lavoro nei pressi del villaggio palestinese di Nabi Saleh».

 

Vittorio Fera non è il primo italiano a finire in manette durante le cariche dei soldati alle manifestazioni settimanali palestinesi contro il Muro, alle quali partecipano gli abitanti dei villaggi minacciati dalla barriera israeliana assieme ad attivisti internazionali e israeliani. Nei mesi scorsi una italiana, Samantha Comizzoli, da lungo tempo presente in Cisgiordania, è stata fermata e incarcerata per giorni – ha fatto anche uno sciopero della fame in segno di protesta e chiesto la liberazione dei minori palestinesi detenuti in Israele – ed infine deportata. Circa un anno fa un italiano, Patrick Corsi, venne colpito in pieno petto da un proiettile di piccolo calibro sparato dai militari durante una marcia palestinese a Kufr Qaddum (Nablus). Il proiettile si fermò tra cuore e polmone e i medici dell’ospedale di Ramallah riuscirono a rimuoverlo solo dopo una delicata operazione al torace.

 

Venerdì scorso non è stato solo il “giorno nero” di Vittorio Fera. L’italiano infatti stava documentando il tentativo di “arresto” di un minore palestinese, un ragazzino con un braccio ingessato che avrebbe lanciato qualche sasso ai militari israeliani. Un filmato mostra un soldato che prova a tenere fermo in ogni modo il “sospettato” ma viene bloccato dalla madre del ragazzo e da altre donne che alla fine riescono a liberare il piccolo palestinese. In Israele non pochi hanno descritto l’azione delle donne palestinesi una “violenta aggressione” ai danni del militare non confermata però dalle immagini circolate in internet.